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CANTO VI
ARGOMENTO
Segue la pugna ancor, u’ il fier Boorte
Uccide a mille a mille quei d’Avarco:
Ne Druscheno salute avvien che apporte
Ferendolo col suo destrissim’arco;
Ch’egli d’in mezzo a’ suoi gli arreca morte,
E di vita Verralto fa pur scarco;
Trappassa ancora il biondo sposo Ergino;
Ma piagne poscia il suo fatal destino.
i
In tai parole all’ordin suo primiero
Ricondotto ciascun, muove a battaglia.
Ma in altra parte, vincitore altero,
Rompe affinato ferro e salda maglia
Il famoso Boorte, e già l’impero
Di tutti ha in mano, ove i nemici assaglia:
Chè di lui sol l’aspetto e sol la voce
Più che ’l ferire altrui spaventa, e nuoce.
ii
Il grave scudo d’ermellini adorno
Con tre purpuree bande che gli cinge
Adoprava il medesmo quasi, il giorno,
Che di Medusa il capo si dipinge:
Chè per fuggir da lui la gente intorno
L’un l’altro con timore urta e sospinge.
Così trionfator per tutto giva,
E nessun più di riguardarlo ardiva.
iii
Il cimier, ch’una fiamma sostenea
Che di vivo piropo avea colore,
La vaga stella e lucida parea
Che davanti all’aurora spunta fuore
Nella secca stagion che, all’onde rea,
N’apporta Febo al suo più grave ardore:
Che vien più sfavillante e più soave
Ch’altra luce che in mar le chiome lave.
iv
Doppo il fuggir di molti, al fin ritruova
Ove per altra strada a i danni grevi
Palamoro ha condotto aita nuova
De’ suoi cavai ch’al corso avea più levi:
Così la crudel guerra si rinnuova,
E chi cadeva pria par si rilevi,
E tal riprenda ardire, e tal vigore,
Che già ’l vinto minaccia il vincitore.
v
Non turba ciò ’l magnanimo Boorte,
Anzi più lieto assai nel cor diviene,
Che gli sembra onorato per vie torte
Chi per l’altrui fuggir palma sostiene.
Or che sente i nemici avere scorte
Di maggior forze, e di virtù ripiene,
Spera, quelle abbattendo, dritta lode
Riportarne più chiara, e ’n sè ne gode,
vi
E gli pare or trovarsi a guerra eguale
Che d’arme e di cavai sembiante fosse.
Or qual rapace uccel che stenda l’ale
Alla preda affamato, il destrier mosse:
Ratto Esclaborre tra i primier l’assale,
E con l’asta durissima percosse
Lui che la spada ha sol, ma il curò poco,
Nè per colpo cangiò pensiero o loco.
vii
Nè in altra guisa all’orrida tempesta
Dà in aspro scoglio tormentata nave,
Ch’ei non si crolla pur, ma quella resta
Rotta e sommersa, a se medesma grave;
Cotal la lancia vien poco molesta
A chi spunta ogni forza e nulla pave,
Ma si ruppe ella in vano, e lui passando
Boorte nel cimier ferì col brando:
viii
E fu il colpo cotal, ch’al greve peso
Non si può sostener dritto Esclaborre,
Che quantunque non sia di piaga offeso
Conviengli al suo destrier l’incarco tòrre,
E tosto cadde su ’l sentiero steso
Qual d’alto in basso fulminata torre.
L’altro senza guardarlo a terra il lassa
E sopra i suoi compagni innanzi passa.
ix
Oltra i monti Navarri, ove a Palenza
Va irrigando il terren Linia e Duero,
Fradmone avea, che fu d’alta eccellenza,
In sacre leggi espor dritto e severo,
Tal ch’a lui fu con somma riverenza
D’ogni lite estricar dato l’impero:
E ’n supreme ricchezze due figliuoli,
Locasto e Gesileo, si trovò soli;
x
I quai semplici allor le paterne orme,
Come spesso adiviene, ebbero a sdegno,
E di quei cavalier seguir le torme
Ch’Esclaborre tenea sotto il suo regno.
Or lui vedendo ch’abbattuto dorme,
E più di morto che di vivo ha segno,
Si divison tra lor da ciascun lato
E ’mprovisto il guerriero hanno scontrato.