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lxxxi
Qual, l’estiva stagion, talora avviene,
Quando il più caldo dì le piagge fende
Che d’atre nubi inghirlandando viene
L’austro, che sovra il mar l’ali distende
E scurando le luci al ciel serene
Cerer, Bacco, Pomona e Palla offende
Con grandine sassosa, orrida e cruda
Che le piante e la terra ha fatta ignuda;
lxxxii
Tal sopra i suoi nemici allor Boorte
Il valore e ’l furore in un distese:
A quello aspro minaccia, a quel dà morte,
L’uno empiè di timore e l’altro offese.
Poi, rotte avendo le primiere porte,
Intento solo a quello, il sentier prese
Ove il re Lago e l’onorato figlio
Giunti eran ambo all’ultimo periglio:
lxxxiii
Perchè quel senza scudo e senza spada,
Che gli si ruppe in man, si vede e lasso;
Il forte Eretto ha l’elmo su la strada,
E del destro braccial si truova casso:
Pur con l’altro a guardar la fronte bada,
E col brando, ch’ha intero, cuopre il basso;
Il terzo è poco men che sbigottito,
Che ’l sinistro ginocchio avea ferito.
lxxxiv
Come al tempo novel, doppo la pioggia
Che da Zefir sospinta inondi e bagne,
Che veder ponsi in disusata foggia
L’erbe abbattute e i fior per le campagne,
Che ’l sol poi chiaro e bel che in alto poggia
Porti dolce conforto a chi si lagne
E di sì bel ristoro il mondo adorni
Che quanto era il dolor la gioia torni;
lxxxv
Tai fur da prima, e tai si fero appresso
I guerrier, di Boorte all’apparire,
Per timor più d’altrui che di se stesso,
Che nessun cura il proprio suo morire.
Or poi che ’n fra le schiere oltra s’è messo,
Con l’urto del cavallo e col ferire
Sì larga e bella piazza intorno face
Ch’ei pon l’arme ricòr che ’n terra giace.
lxxxvi
Ripon sopra i destrier ch’avea de’ suoi
Il vecchio re dell’Orcadi e ’l figliuolo,
Patride al cerchio d’oro e gli altri duoi
Che fur feriti dal crudele stuolo,
Che possan dare a i loro ordine; e poi,
Quei sicuri lassando, prende il volo
In ver Brunoro il Nero e Terrigano,
Che ’n luogo eran di là poco lontano:
lxxxvii
E messosi tra loro ambo gli atterra,
L’un colla groppa e l’altro con la testa
Del suo nobil corsier, che in aspra guerra
Or col piede or col morso altrui molesta;
Poi nel popol vicin ratto si serra,
Che ’n nuova tema e sbigottito resta,
Ch’ove pria si credea vittoria avere
I due duci miglior vide cadere.
lxxxviii
Lì non ad un ad un, ma a schiera a schiera
Stende tutti all’arena, e molti uccide;
Nulla parte di lor rimane intera,
Ch’ove insieme gli scerna gli divide:
In fin che Marabon della Riviera,
Che par che nel valor troppo s’affide,
Con gli Allobrogi suoi ristretto truove
Che spiegate l’insegne incontra muove.
lxxxix
Tosto che ’l vide tal, l’accorto duce
Cangia a’ consigli suoi novelle forme,
Che ’l fren tanto ritien, che si conduce
Marabon per ferire all’ultim’orme;
Apresi poi nel mezzo, e i suoi riduce
Egualmente divisi in doppie torme,
E nel lor destro e lor sinistro lato
Dietro a gli ordin primieri è ratto entrato.
xc
Così, l’aste schivando delle fronti,
Con sua più sicurtà percuote i fianchi,
In prestezza coltal ch’ancor che pronti
Voltar non ponsi, ove la forza manchi;
Poscia, entrato fra lor, confusi monti
D’arme e di gente fà, che vinti e stanchi
E calcati son tutti dallo intoppo
Feroce de’ corsier, che pesan troppo.
xci
Ma con sommo valor secura strada
A i suoi mostra il magnanimo Boorte:
Sempre ha in danno d’alcun la grave spada
Di sangue aspersa e di color di morte.
Tosto ch’ei può trovar chi incontra vada
Gli mostra aperte le tartaree porte,
E di stuol popolare uccisi ha tanti
Che del credere uman vanno più innanti:
xcii
Poi tra’ duci Aretaone e Pidita,
Del Rodan nati alla sinistra riva
Dentro la nobil Vienna, in cui gradita
Di Roma è ancor la gran memoria viva.
Fu quello offeso di mortal ferita
Ove al collo congiunto in alto arriva
Della spina del dorso il nodo primo,
E traverso il tagliò dal sommo all’imo;
xciii
L’altro nel destro lato fu percosso
Ove l’omero al braccio si contiene,
E tutto interamente tagliò l’osso
Che più largo e sottil di dietro viene.
Isandro ancor, che da pietà è commosso
Di vendicarli avea fallace spene,
Con la testa in due parti compagnia
Fece a i cari cugin per l’atra via.
xciv
Melantio poi, che la nevosa valle
Dell’aspro Tarantasio patria avea,
Con la testa troncata dalle spalle
Diè fine acerba alla sua vita rea:
Chè quanto ivi contien l’alpestre calle
Di giogo insopportabile premea,
Nè vi poteva alcun goder sicuro
La famiglia nè i ben nè il patrio muro.