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CANTO V
ARGOMENTO
Segue la fera pugna, in cui fan pruove
Chiarissime, stupende Eretto e Lago;
A Brunoro ed a’ suoi, sempre con nuove
Riscosse dan tormento, e fer presago:
Domi però cadean; ma a lor si muove
Boorte invitto di salvarli vago;
Giunge, e di sangue empie d’intorno il campo.
Tal che i prodi guerrier trovano scampo.
i
Ma in quella parte ove le picciol’onde
Per sentiero arenoso l’Euro spinge,
Non più ch’altrove il suo furore asconde
Marte, o con meno ardor, la spada stringe:
Anzi le verdi pria fiorite sponde
D’altro fero color bagna e dipinge,
E tutto intorno all’infelice fossa
Ha stampato il terren di sangue e d’ossa.
ii
Ivi il buon re dell’Orcadi tenea
La vece di Gaven, mentre e’ ferito,
E con senno e con arte si movea,
Non però tal che men si mostri ardito;
Ma il valore e ’l consiglio correggea
Sì ben tra lor, che nullo era impedito,
Ed avea già con l’aste sue primiere
Oppresse di timor l’avverse schiere:
iii
De’ quai fu conduttor Brunoro il Nero,
Però che il re Clodino era lontano,
Seco estimando in nobil cavaliero
Opra di cor rozzissimo e villano
Sì tosto ripigliar l’ingiusto impero,
E contra ogni ragion muover la mano
Sopra la gente pia ch’a torto offesa
Pur credea che dal ciel fosse difesa.
iv
Così l’un corno e l’altro il proprio duce
Avea cangiato, e non con men virtude
Di lor ciascuno all’opra si conduce,
Nè di quei men valor nel petto chiude:
Ben che d’anni ineguali, in ambe luce
Gloria sembiante, perchè in mille crude
Battaglie si trovar contrari e ’nsieme,
In cui senno mostraro e forze estreme.
v
Or, mischiati fra lor da ciascun lato,
Non si discerne alcun che muova il piede,
Ma sta qual torre o sasso alto piantato
Che d’aperti confin termine siede;
Poi col braccio e col ferro insanguinato
Contra il fero vicin spinger si vede,
E senza cura aver della sua sorte
Solo inteso restar nell’altrui morte;
vi
E fra molti miglior più d’altro appare
Il figliuol del re Lago, il forte Eretto,
Tutto pien di desio d’alto montare
In brevissimi giorni al fin perfetto
Di somma gloria, e ’n dietro a sè lassare
Gli altrui canuti onor, lui giovinetto:
Così dove scernea più gran periglio
Di più innanzi passar prendea consiglio;
vii
Nè a sì nobil disegno fu nemica
Nel primo incominciar fortuna infida,
Che con sommo valor ratto s’intrica
Tra i più folti nemici, ed ella il guida
Ove Bucalïon danno e fatica
Dava a i Britanni, e loro appella e sfida
Dicendo: Ove son or quei tanto arditi
Che minaccian sì spesso i nostri liti,
viii
E quando son lontan sembran lioni,
Poi pecorelle vili, ove noi semo?
E s’al calcar le nostre regïoni
Hanno oprato in cammin la vela e ’l remo,
Al tornar fia mestier più che di sproni,
Per chi non fosse pur di vita scemo:
I quai pochi saranno, in fin che basta
Questa mano a portar la spada e l’asta.
ix
E mentre dice pur, sopra gli viene
Il valoroso Eretto, e dritto pose
Il ferro entro la bocca, ch’ancor tiene
Parlando aperta, e tutto in essa ascose:
Così senza altro dir, qual si conviene,
Al folle ragionar silenzio pose;
Cadde egli a terra come sciolta salma,
E mordendo il terren si fuggì l’alma.
x
Oltra varcando poi, trova Mecisto,
In Frisia nato e nel medesmo loco,
Che del compagno suo doglioso e tristo
Per desio di vendetta ha il cor di foco;
Ma il fero giovinetto, al nuovo acquisto
Volto il pensiero, il passo affrena un poco
Fin ch’ei s’appresse, e poi ver lui si getta
Come d’arco miglior leve saetta;