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     Incontra il primo il nobil Corinete,
Ch’ebbe il natal dell’Era in su la foce:
In cui di vero onor troppo alta sete,
Giovando all’immortale, al corpo nuoce,
Perchè di molto ardir tal gloria miete,
Ch’ancor ne vive in noi chiara la voce,
Ma fornì gli anni nell’età più acerba,
E di piaga mortal cadde su l’erba;
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     Ch’una punta gli vien dove s’appiglia,
Nella gola alta, all’ultimo palato
La più carnosa parte ch’assottiglia
L’esca, e le fa il cammin più leve e grato.
Poscia il prode Ifinoo tra le due ciglia
In fin nella memoria ha trapassato:
Con loro appresso Acastore ed Aranco,
Questo al ventre percosso e quello al fianco.
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     Già si fuggia ciascun come si vede
Di storni far la popolosa schiera,
Quando il rapace uccello alcun ne fiede,
Privo d’esca miglior, vicino a sera:
Il grido pur del forte Palamede
Più spavento apportava che Megera
Od Aletto non fan con l’aspre voci
A chi lorde ha le man di colpe atroci.
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     Ma in questa è sorvenuto Gossemante,
Il core ardito, che di quelli è duce
Di Sommerseto, e se gli oppone avante
Con molti capitan che seco adduce:
E ’n minaccioso orribile sembiante
Mostrando alto lo scudo, in cui riluce
Mischiata in un la porpora e l’argento,
Rallumava il valor ch’ei truova spento,
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     Dicendo: O cavalier, non vi sovviene
Quei che voi fuste, e quei che fur costoro,
E quante erbe in più lochi e quante arene
Già dipingeste voi del sangue loro?
Se voi sarete quei ch’esser conviene,
Gli troverrete ancor quai sempre foro,
Ch’or non più che s’avessero altre volte
Hanno in porfiro fin le membra avvolte:
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     Nè taglian men ch’allor le nostre spade,
Pur ch’aver disponiam gli stessi cori.
Ritroviam di virtù l’antiche strade
Co i medesmi desir de’ primi onori;
Non consentiam della passata etade
Oscurare or le palme e i verdi allori,
Ma d’addoppiargli e rischiarargli, tale
Che non gli noccia mai colpo mortale.
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     In cotai detti questo e quel raccoglie,
Che senza altro sperar ratto fuggia;
Già del primo timor gli animi scioglie
E nel cammin lasciato gli rinvia,
Già di caldo desire empie le voglie
Di vendicar ciascun la sorte ria
Chi del compagno suo, chi del germano,
Chi dell’onta ch’avea d’esser lontano.
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     Ed esso innanzi a tutti s’appresenta
Con la schiera ordinata e ben ristretta,
E va con grande ardire ove s’avventa
Contro a chi truova, in guisa di saetta,
L’Ebrido altero, e con la spada il tenta
Sopra la destra spalla; e ben che eletta
Fosse la piastra e grossa, no ’l difese,
Che ’n fin quasi su l’osso il colpo scese,
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     Dicendo: Or senta il forte Palamede
Come il suo Gossemante, core ardito,
Opra in guerra la mano e non il piede,
Quale il popol peggior da lui fuggito.
L’altro col ferro sol risposta diede,
Che ’n su la fronte in alto l’ha ferito,
Di forza tal, che se veniva a pieno
Gli convertiva in notte il dì sereno;
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     Ma il fero colpo per traverso lito
Venne sfuggendo, e nello scudo il colse:
Ond’ei ragiona, in sè medesmo irato:
Or ringraziate il Ciel che così volse,
Che ben vi diè più che benigno il fato
Poi ch’all’unghie di morte oggi vi tolse.
Ma Gossemante col primiero ardire
Di minacciar non cessa e di ferire;
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     E stata orribil la battaglia fora,
Perchè prode è ciascuno e valoroso.
Ma de’ guerrier lo stuol, che giugne allora,
All’impresa onorata vien noioso,
Tal che per viva forza, all’istess’ora,
Si truova l’un dall’altro essere ascoso;
Nè potendo ove avean le voglie intente,
Spiegan la lor virtù sovr’altra gente.