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lxxxi
     Poco lontan da lui ferì Toone,
Che nacque anch’ei sovra l’aurato Tago:
Passogli a mezzo il core, e morto il pone,
Ove fè intorno sanguinoso lago;
Tra quei pèoi dell’istessa regïone
Eneo trovò, di vendicargli vago,
A cui intera tagliò la destra coscia,
Che non curato allor, morì d’angoscia.
lxxxii
     Or mentre era più d’un per terra andato
E che innanzi al suo gir ciascun fuggiva,
Venner messi e romor da più d’un lato
Ch’altra parte de’ suoi danno soffriva;
E Drïanzo fedel, poi che cercato
L’ebbe assai tempo in van per quella riva,
Con voce stanca alfine e pien d’orrore
Gli dicea di lontan: Caro signore,
lxxxiii
     Se voi non soccorrete al popol nostro
E con veloce passo e tosto, io temo
Che i dì brevi di quello e l’onor vostro
Sieno omai giunti al terminare estremo;
Chè Palamede, l’incantato mostro,
Ha fatto un grande stuol di vita scemo,
E, tra i migliori, il misero Filanto,
Che più che vendicato è stato pianto.
lxxxiv
     Non mosse mai, pastor sì ratto il piede,
Al latrar de’ suoi cani e dell’armento
Al pietoso mugir, che vicin vede
Lupo affamato a divorarlo intento,
Che ’l pio Tristan, quando all’orecchie il fiede
Che ’l suo Filanto sia del mondo spento;
E come l’ali avesse, in un sol punto
Ove i suoi stanno afflitti è quasi giunto:
lxxxv
     E per tutto domanda, e cerca insieme,
Ove allor Palamede andato sia,
Perch’ha di vendicar secura speme
Del suo caro scudier la sorte ria;
E rabbioso nel fin sospira e geme,
Poi ch’ha trovato che per altra via
Era gito a soccorrer quella parte
Mal condotta per lui, d’onde si parte:
lxxxvi
     Nè men bramoso anch’ei di ritrovarse,
Come altra volta già, seco alla prova.
Ma da poi che Tristan le stelle scarse
Vede al suo core, e che ’l cercar non giova,
Lassa il fero disdegno riversarse
Contr’a chi n’ha men colpa, e quanti truova
Tanti senza la vita abbatte in terra,
Nè si vide già mai più crudo in guerra.
lxxxvii
     Di tutti Teutran viene il primiero,
In Ila, una delle Ebridi, nativo,
Sopra la qual reggea del fren l’impero,
D’ogni giustizia e di pietade schivo;
Or qui l’indusse il rio peccato e fero
Della vita inonesta ad esser privo,
Perchè non conoscendo il buon Tristano
Mosse in ver lui la dispietata mano:
lxxxviii
     E nel sinistro fianco a gran furore,
Mentre che in altra parte era rivolto,
Gli donò colpo tal, che venner fuore
Faville assai, ma non gli nocque molto.
L’altro, che d’ira è colmo e di dolore,
Una punta gli addrizza in mezzo il volto
Sopra l’osso più curvo che fa strada
In tra gli occhi all’odor che in alto vada;
lxxxix
     E ’l trapassò di dietro, ove natura,
Pria ch’altrove inviargli, i nervi accoglie:
Cadde morto riverso, e gli altri han cura
Di trïonfanti, gir delle sue spoglie.
Segue egli innanzi, e reca notte oscura
A i chiari giorni e fine all’alte voglie
Di Calesio, ch’omai sperava in vano
L’unica suora aver di Segurano:
xc
     La qual devea sposar come tornato
Fosse in Ibernia al nido suo natale;
Ma non gliel consentia l’avaro fato,
Perch’un colpo Tristan più che mortale
Vibrando spinse in quello istesso lato
Ove il cibo discende e ’l spirto sale
Per doppia strada, e l’una e l’altra incise
E morto a terra palpitando il mise.
xci
     Trovò poi Dreso, e nel medesmo loco
E nel modo medesmo anco il ferìo:
Ma di quell’altro pur più basso un poco,
Ch’al cominciar del petto a punto gìo;
Ofeltio, Esapo, Cromido, Orsiloco
L’un doppo l’altro i primi due seguìo,
Che nell’isola istessa insieme nati
Di non si abbandonare eran giurati.
xcii
     Ma chi contar potrebbe ad uno, ad uno
Quanti uccise in quell’ora il buon Tristano?
Egli avea tutto già vermiglio e bruno
Fatto a sè intorno l’arenoso piano;
Non più, dovunque ei vada, truova alcuno
Ch’attender osi l’onorata mano:
In qual parte rivolga o l’occhio o ’l piede
Fuggir la plebe paventosa vede,
xciii
     In guisa di levrier che ’n gioco prenda
Di talor perseguir la greggia umìle:
Ch’or quella torma fa che ’n basso scenda,
Cercando scampo al suo sicuro ovile,
L’altra, montando a i colli, il corso stenda
Trall’usate erbe, paürosa e vile;
E quando esso lontan s’addrizza altrove
Si volgono a mirar ver cui si muove.
xciv
     Ma il fero Palamede in altra parte,
Chiamando i duci suoi, non meno adopra:
Riduce tosto in un le genti sparte
E con minacce le rispinge all’opra;
Poi tutto impresso del furor di Marte
A i primi vincitor si mette sopra,
Destando sol sì orribile battaglia,
Che non val contr’a lui pistra nè maglia.