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     Eran le lingue poi verie e diverse
Come vari e diversi hanno i paesi:
Di contrari color son l’armi asperse,
E di mille maniere gli altri arnesi;
E ben pon quei d’Arturo anco vederse
Di strane patrie: ma, gran tempo appresi
Alla medesma scuola, in lor l’usanza,
Come spesso adivien, natura avanza.
xl
     Già quinci e quindi si vedean volare
Lo Spavento e ’l Timor con trepid’ali,
Or alti in aria a suo diporto stare
Or ne’ cori avventar gelati strali:
Poscia, scacciati, in altra parte andare,
Dall’ira avversa, a cui non sono eguali;
Dall’ira, ch’al principio lento il passo
Muove per un sentier ch’è oscuro e basso:
xli
     Indi l’ali spiegando a poco a poco
Prende aperto cammin ch’al ciel sormonte;
Poi fatta in vista di color di foco
Infin sovra le nubi alza la fronte.
Questa adunque avvampando in ogni loco
Facea del sangue altrui l’anime pronte
E nulla cura aver della sua sorte,
Portando solo in cor desio di morte.
xlii
     Or già il buon Maligante e ’l pio Boorte,
Questo a man destra, alla sinistra quello,
A’ più levi cavai facendo scorte
Muovon più presti che rapace augello;
Dietro lor la pedestre sua coorte
Spinge il re Pelinoro e Lïonello,
Le quai di frombator sono e d’arcieri,
Tutti al corso prontissimi e leggieri.
xliii
     Il romor de’ destrier, dell’arme il suono,
De’ guerrieri il gridar, l’orribil trombe
Sveglian sì grave e tempestoso tuono
Che ’l mar, l’aria e la terra ne rimbombe:
Per cui cadute in basso aquile sono,
Non pur cornici o pavide colombe;
Tremò intorno la valle, e d’Euro l’onde
S’alzar crollando tra l’erbose sponde.
xliv
     Mosser di quei d’Avarco, al muover loro,
Non men bramosi del mortale assalto,
Con genti eguali il forte Palamoro,
Farano e Loto, che seguia Verralto;
Primi allo scontro a ritrovarsi foro
I cavalier, ch’adamantino smalto
Quinci sembraro e quindi elette incudi,
Tanto strepito fèr l’arme e gli scudi.
xlv
     I tronchi delle lance hanno il sentiero
In un momento sol tutto ripieno;
Puossi steso veder più d’un destriero
Luttar con morte e mordere il terreno:
Ivi oppresso riman quel cavaliero,
Quel tutto estinto e quel di sangue pieno;
Quel che più ferma ancor sostien la vita,
Quantunque a piè, col buon voler s’aita.
xlvi
     De’ pedestri, impiagato il petto o ’l fianco
Chi va col volto a terra e chi riverso,
Chi vive ancor, ma spento ha in tutto e stanco
Il suo primo valor, di polve asperso;
Chi lo scudo ha impedito e ’l braccio manco
Di più d’un colpo che ’l passò traverso;
E chi si trova san, cangiando varco,
Ora in questo or in quello addrizza l’arco.
xlvii
     Ma con saggio silenzio a passo tardo
Vengon l’armate e le più gravi schiere,
Col cor ben fermo e con sottil riguardo
De i lor duci adempir tutto il volere.
Intra due corni il candido stendardo
Del Britannico re si può vedere,
Non tra i primi a ferir, ma in mezzo il calle,
Che la fronte di lor veggia e le spalle,
xlviii
     Sopra un alto corsier che di colore
Rassembra all’oro, e mille oscure ruote
Della chiarezza adombran lo splendore,
Come stil di pittor più accorto puote:
E in campo che simiglia al nuovo albore
Il ciel che l’Euro d’ogni nebbia scuote,
Il suo scudo real, ch’al collo pende,
Di tredici corone aurato splende;
xlix
     Con mille intorno cavalier perfetti
Di condur degni ogni onorata impresa,
Che tutti insieme in un drappello stretti
In ogni parte han presta la difesa.
Le trombe ha presso e gli altri suoni eletti
A frenar l’arme o spingerle all’offesa:
Tristan va innanzi al suo sinistro corno,
D’aurate sopraveste e d’ostro adorno;
l
     E per gir come gli altri è sceso a piede,
Non dell’armi durissime ravvolto,
Gravi pur sì che se ’l bisogno vede
Che convegna stornar chi in fuga è volto,
Onde possa talor chi non provede
Ratto in più d’una parte soffrir molto,
Montando esso a caval, restino intere
Contra ogni colpo che la lancia fere.
li
     In sette doppi poi di fino acciaro
Il gravissimo scudo al braccio avea,
Ove nel campo verde, a lui sì caro,
Il dorato leone alto surgea.
Così sen gìa con le sue schiere a paro,
Ma spesso l’occhio intorno rivolgea;
Due dardi ha soli in man, che tutta spene
Nella spada fatal secura tiene.
lii
     Del corno destro, ancor che d’anni pieno,
Il saggio re dell’Orcadi ha la cura,
Perchè impiagato allor sendo Gaveno,
Egli in vece di lui tutto procura:
E ’l generoso cor ch’ei porta in seno
Facea forza in quei giorni alla natura,
Che col picciol cavallo è in ogni loco,
Nè mai stanche ha le membra o ’l parlar roco.