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Però che ’l fino acciaro assai sostenne
Che non andasse il colpo adentro molto.
Fece il voler divin che ’l ferro tenne
Sentier, passando, d’ogni danno sciolto.
Tosto giù il sangue sotto l’arme venne,
E di tal doglia in un momento avvolto
Fu il misero Gaveno, e tanto acerba,
Che non reggendo il piè cadde su l’erba.
xciv
Restò meraviglioso e sbigottito
Clodin, che ’l suo nemico a questo vede:
Poi ben tosto s’accorge che fallito
Avea ’l suo campo la pomessa fede.
Getta la spada in terra, e ratto è gito
Là dove l’altro lamentando siede;
E come quel ch’ha pur reale il core
Assai seco si duol del suo dolore,
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Dicendo: Io mi vi rendo prigioniero,
Che facciate di me quel ch’a voi piace
Infin che si ritruovi il certo e ’l vero
Dell’atto crudelissimo e fallace:
E s’io poi come giudice e severo
Non fo quanto a giustizia si conface,
A voi mi voto eternamente servo,
Con meno onor che fuggitivo cervo.
xcvi
Ancor volea seguir, se ’l grande Arturo
Non venia ratto, e di dolor ripieno
Non dicea fero e con sembiante oscuro:
Gitene pur con la vittoria in seno
Da scelerato cavaliero impuro
Colmo d’invidia, d’odio e di veleno,
Di fede avverso e di bontà nemico,
Di tradimenti e d’ogni vizio amico.
xcvii
Così, senza aspettar risposta alcuna,
Fa riportar Gaveno in miglior parte:
Ove d’intorno a lui ratto s’aduna
Serbino e Pellican con la lor arte.
Taurino ancor, che ’l corso della luna
Con l’altre stelle in cielo accolte e sparte
Ottimamente osserva, ivi si truova,
E di quanto può in sè ciascun gli giova.
xcviii
Serbin con dolce forza la saetta
Tutta intera col ferro ha tratta fuore:
Guardala, e di velen la truova netta,
Di che prima dubbioso aveva il core;
Poi la coscia disarma e spoglia in fretta
Per veder ben la piaga ove dimore.
Premela intorno, e poi col ferro tenta
E di trovarne il fondo s’argomenta.
xcix
Certo, che nessun nervo offeso avìa
Nè infino all’osso il colpo è penetrato,
Disse lieto a Gaven: Di morte ria
Non solo oggi assecuro il vostro stato,
Ma pria che ’l sole a mezzogiorno sia
Sarete in guisa san, che vendicato
Di vostra stessa mano esser potrete
Dell’oltraggio inuman che sostenete.
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E mentre ancor dicea, già Pellicano
I prezïosi unguenti ivi gli apporta:
Stendegli intorno con salubre mano,
E la ferita acerba riconforta.
Taurino, al ciel mirando umile e piano,
Con sacri detti ogni dolor ne porta;
Indiin erboso, chiuso e fresco loco
Il lasciar dalla turba lunge un poco.