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Che i due buon cavalier premon la terra,
Senza vantaggio avere in quello stato:
Se non che ’l destro braccio aggrava e serra
A se stesso Clodin, che da quel lato
Stampò la rena, e l’altro a nuova guerra,
O fosse il suo sapere o fosse il fato,
Avea la miglior man di sopra sciolta,
Che gli fu nel cader ventura molta.
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E perchè già la spada avea gettato
Fin nel primo abbracciar, che l’impedìa,
Va cercando, ove l’elmo era allacciato,
S’ei potesse trovar di sciorlo via;
E quantunque di guanto ei fosse armato,
Sì che la man non molto l’obbedia,
Tanto va pur tentando a poco a poco
Che mettea l’avversario in dubbio loco.
lxxxi
Ma Clodin quanto può si scuote, e muove
I piè, le braccia e l’insidiata fronte,
E se mai l’ebbe a maggior uopo altrove,
Ivi tutte sue forze aveva pronte;
Ma in tutto ciò di nulla mai rimuove
Gaven che si faria lo scoglio o ’l monte:
Che gli slaccia al fin l’elmo, e con furore,
A mal grado di lui, gliel trasse fuore.
lxxxii
Ma nel tirar ch’ei fè, dal braccio sciolse,
Onde il premea, Clodin, che ’l tempo vede
E con leve destrezza indi si tolse
E in un momento pur si trovò in piede:
Poi con passo sollecito ricolse
La spada di Gaven che ’n terra siede.
L’altro risurge anch’ei tristo e smarrito,
Che mezzo il suo sperar vedea fallito;
lxxxiii
E tanto più che la sua spada in mano
Scerne dell’avversario che l’attende
Tosto il possente scudo, poi che in vano
Nella pedestre pugna al collo pende,
S’adatta in braccio, e stando a lui lontano
L’elmo già di Clodin con man riprende
Per le dorate fibbie onde s’allaccia,
Perch’officio di spada almen gli faccia:
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E s’invia verso lui con largo passo,
Stimando nel suo cor vantaggio avere,
Chè tosto ha rotto il brando, o ’l braccio lasso,
Chi sopr’elmo ben fino e scudo fere;
E spera anco nel sangue, che già in basso
Pur tra l’arme talor vedea cadere,
E non poca speranza anco gli presta
Scernergli a’ colpi suoi nuda la testa.
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Clodin, che nel medesmo s’accorge
E si sente le forze assai mancare,
Nè gran speranza alla vittoria porge
Il brando, che non sa dove adoprare
(sì ben coperto il suo nemico scorge
D’arme ch’è tutta intera e senza pare):
Ond’ei misura i colpi in tal maniera
Che la spada ch’egli ha dimori intera.
lxxxvi
Or mentre che fra lor girando vanno
E migliore stagion ciascuno aspetta,
Druschen, che s’assedea con quei che stanno
Fuor d’ogni schiera che sia tarda e stretta,
Ma che sciolti e leggier la guerra fanno
Sol di fromba, di dardo o di saetta,
Tra’ quali ei fu il più dotto, e fu signore
Presso a Valenza, al fiume Goldamore;
lxxxvii
Non perchè di Clodin pietà il movesse,
O lo scampare i suoi d’aspra ventura,
Ma d’invidia compunto, infido elesse
Trar con l’arco Gaveno a morte oscura:
Così tacitamente l’orme impresse
Per la gran calca, e quanto puote ha cura
Di gire a quei d’Arturo sì coperto
Che ’l disegnato colpo andasse certo.
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Tosto ch’è giunto al loco disegnato,
Che ’l possa rimirar di dritta parte,
La faretra prendea ch’ei porta a lato,
Fabbricata in un corno con molt’arte
D’un capro alpestre in tra i gran gioghi nato
Del Pireneo, che l’Aragonia parte
Dal terren Gallo: e ’n cava pietra assiso
Con l’istessa sua man l’aveva ucciso.
lxxxix
Or quella adunque, di grandezza pare
A quanto un uom le braccia stenderia,
Da Conon fatta riccamente ornare
Come arnese più caro si potria,
Loca a’ suoi piedi; e fassi innanzi stare
Gente ch’a quei di là cuopran la via
Di poter lui vedere, e basso in terra,
L’un ginocchio posando, la disserra:
xc
E ’l più saldo, pungente e duro strale
Tra molti che vi son traeva fuore,
Pennuto in basso di finissim’ale,
Onde più dritto è l’impeto e maggiore.
Truova poi l’arco, che non ave eguale,
Di fortezza infinita e di valore:
Che fuor che Palamede e Segurano
Ogn’altro cavaliero il tende in vano.
xci
Questo con salda mano al mezzo prende;
Indi pon dello stral la ferma cocca
Su la rigida corda, e quella stende
Fin che col ferro la sinistra tocca:
Poi con la destra, ch’al destr’occhio pende,
Doppo aver ben mirato a pieno scocca;
E con tanto furore il corso prese
Ch’a mille il sibilar l’orecchie offese.
xcii
Il minacciante stral volando gìo
Tra gente e gente, d’incontrar bramoso:
Giunge dritto a Gaveno, a cui ferìo
La destra coscia dove periglioso
Non pure è il loco, ma mortale e rio,
Tra mille nervi e mille vene ascoso;
Ma l’arme, e prima il Ciel, gli furo aita
Ch’ei non perdesse subito la vita: