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     E s’io gli mentirò, veder poss’io
Preda questa città d’arme e di foco,
La pia consorte, i figli, il popol mio
Servi de’ lor nemici in chiuso loco:
Ed io fra loro in lungo essilio e rio
Mi consume di doglia a poco a poco,
Nè ardisca a voi drizzar lamenti o preghi,
E s’io ’l facessi pur, nessun si pieghi.
lii
     Detto così, nella sagrata gola
All’uno e l’altro agnello il ferro mise.
Il sangue in alto distillando vola
Per le vene maggior ch’erano incise;
E mentre la fral anima s’invola
Dalle tremanti mambra in terra assise,
Con l’anfora che tiene aurata e tersa
Puro ed annoso vin sovr’essi versa;
liii
     Onde alcun fu ch’a rimirare inteso
Divoto il Ciel pregava tra ’l suo core:
Così veggia io di simil piaghe offeso
Riversar con lo spirto il sangue fuore
Chi primo avrà contra il dever disteso
Il sacrilego braccio e pien d’errore
Per disturbar la guerra che in un solo
La pace apporta a così grande stuolo.
liv
     Poi che tutto ha compito il re Clodasso,
I Britanni guardando e’ suoi d’Avarco
Dice: All’albergo mio rivolgo il passo,
Poi che d’ogni dever mi sono scarco:
Ch’io non potrei soffrir vedermi, ahi lasso,
Già di tante miserie e d’anni carco,
In sì mortale impresa e ’n tal periglio,
Senza soccorso altrui, sì caro figlio.
lv
     E chiamato Vagorre, fan portarse
Nell’ombrosa lettica che gli attende,
E quanto più poteo ratto disparse
Da quel loco fatal che ’l cor gli offende.
Or già si vede in mezzo appresentarse
Chi del campo ordinar la cura prende,
Che fu il buon Maligante e Palamede,
E ciascuno il vantaggio al suo provvede.
lvi
     Fanno in prima purgar di sterpo e sasso
E per tutto adeguar l’eletto loco;
Poi misuran lo spazio a passo a passo,
Dividendo il confin tra ’l molto e ’l poco,
Che non troppo al principio, o nel fin lasso
L’incontro sia, poi che già spento è ’l foco
Che più riscalde il corso, ma in quel punto
Ch’al suo sommo vigor ciascuno è giunto.
lvii
     Van l’arme visitando in ogni lato,
Se raddoppiata viene ove s’allaccia,
Se l’elmo è fermo assai, s’egli è fidato,
Se crolla in testa o se la vista impaccia;
Se la maglia è ben forte, e tien guardato,
Ove piastra non sia, sotto le braccia:
Prendon la spada appresso, e guardan come
Truovin sicure in lei le guardie e ’l pome.
lviii
     Il medesmo ch’all’uom fanno al destriero,
Cominciando dal piè fino alla fronte:
Se ben ferrato sia, saldo e leggiero
Da non gravare al gir le voglie pronte;
Se ’l fren dritto di lui tenga l’impero
E non troppo s’abbasse o troppo monte,
E se ciò che ’l governa e che ’l sostiene
Armato sia di fuor come conviene;
lix
     Se la testa è col petto d’arme ornata
Quanto è ’l bisogno e con ragione assisa,
Se la sella è ben posta e ben serrata
Da non temer di seggio esser divisa;
Se l’una e l’altra staffa è ben locata
Tra ’l lungo e ’l corto in assai forte guisa:
E van tutto guardando, come deve
Chi ponga sopra sè fascio sì greve.
lx
     Poi di scudo possente a tutte prove
Il petto al suo guerriero armò ciascuno:
Gaven d’oro v’avea l’uccel di Giove
In campo porporin che volga al bruno;
De’ medesmi color ch’all’aura muove
La fronte annosa, e non contenta d’uno
Secol di vita, il sempre verde pino
Ombreggiava lo scudo di Clodino.
lxi
     Già presenta a Gaven la nobil asta
Il magnanimo Arturo in tai parole:
Bench’ad alma real senz’altro basta
La virtù sola ch’ella onora e cole,
Che si dee mantener candida e casta
D’ogni difetto uman qual puro sole;
Pur dirò questo ancor, che vi sovvegna
D’esser quale a tal opra si convegna:
lxii
     E che in mille e mill’anni la fortuna
Non vi porria trovar cagion più chiara
Del nome vostro alzar sopra la luna,
E d’ornare e giovar la patria cara;
E che per vostra man serena o bruna
Fia la sorte di noi, dolce od amara:
Non sia ingannata in voi la somma fede
D’uom che di tanto onor vi face erede.
lxiii
     Gite con fermo core alla battaglia,
Nè lo abbasse timor, nè l’alzi spene;
E doppo il primo incontro, se vi assaglia
Con furïoso passo a vele piene,
Sostenetevi alquanto, e non vi caglia
Del vano onor che da i men saggi viene:
Ma come stanco sia, pronto e leggiero
Vi dimostrate allora, e prode e fero.
lxiv
     Movete adunque, che ’l favor divino
Non v’abbandonerà, per quel ch’io spero.
Così diceva, e già nel suo vicino
Popolo esercitava il sommo impero
Tristano e Seguran, sì che ’l confino
Disegnato a’ guerrier rimanga intero:
Tenendo ogn’uomo a fren che innanzi gisse
Per cagione schivar di nuove risse.