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Di Cerne, d’Autolaa; dell’altre molte
Esperidi cui ’l sol la fronte preme
E dell’ultime terre più rivolte
Dell’occidente su le piagge estreme,
C’ha tante altre isolette in seno accolte
Che l’Icaro e l’Egeo n’han meno insieme,
Tra ’l Bretton Cavo e ’l Freto Magagliano
Là dove appare il gran Temistitano.
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Ma il popoloso numero e ’nfinito
Che dal terren natio primiero venne,
Poi che fu con Arturo in pace unito,
Rimandò nel suo regno, e sol ritenne
Venti insegne di tutte, ed ha seguito
Mai sempre poscia, ovunque il cammin tenne,
Lancilotto, di cor sì amico e fido
Che di Pilade antico avanza il grido.
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Così di questi due le genti sole
Mancavan tra color ch’a guerra vanno,
Che in pace or sotto l’ombra or sotto il sole
Or correndo or lottando a cerchio stanno.
Ma il magnanimo Arturo un nuovo sole
Nel giorno più seren del più bell’anno
Sopra un fero corsier d’altere membra
Con l’arme lucentissime risembra.
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Una candida insegna solamente
Ha innanzi, ovunqu’e’ sia, che in alto porta
Caradosso Brebasso, il re possente:
Alla qual va d’intorno e face scorta
Numero senza fin di nobil gente,
In arme ardita e nel consiglio accorta,
E tutti cavalieri. Or questi furo
I regi e capitan ch’aveva Arturo.
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Ma dimmi, o Musa, tu: chi ’l più perfetto
Cavaliero e destrier fu in tutta l’oste?
De i destrier fu quel da Sicambro eletto
Nell’aspre regioni all’Euro poste
Su l’onde d’Ebro, allor ch’al giovinetto
Iustino imperador fur l’armi opposte
Da i Tartari vicin, ch’egli il soccorse
E co’ Franchi ch’avea palma gli porse:
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Ch’oltre a molt’altri don gli fu cortese
Di questo nobilissimo destriero,
Ch’al par de’ venti al corso si distese,
Grande oltra modo e bel, forte e leggiero,
Securo e fido in perigliose imprese
Perch’al freno era umile, all’arme fero.
Tra i cavalier, di tutti era sovrano
Il possente e chiarissimo Tristano,
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Però che Lancilotto ivi non era,
Ch’avanzava ciascun d’alto valore,
Nè ’l suo caval, di cui del sol la spera
Non vide o vedrà mai forse il migliore;
Ma quello in ozio con l’amica schiera
Di crucciosi pensier nodrisce il core,
E ’l buon corsier sotto l’albergo ombroso
Tra la paglia e tra ’l fien prendea riposo.
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Ma il campo tutto in arme insieme accolto
Mostra col suo splendor ch’arda il terreno,
E ’l romore e l’andar del popol folto
Tremar fa il loco che ’l riceve in seno:
Come là ne gli Arimi, ov’è sepolto
Vivo Tifeo, tra ’l Sipilo e ’l Celeno,
Ch’ad ogni acceso folgor che ’l percuote
Di spaventoso suon la terra scuote.
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Corsa è in Avarco la veloce fama
Ch’Arturo in arme a lei rivolge il passo.
Tosto il consiglio paventoso chiama
De i miglior duci e cavalier Clodasso:
Chi le mura guardar securo brama
Fin che veggia il nemico afflitto e lasso,
Chi vuole, uscendo pur, presso alle porte
Porsi in loco che sia vallato e forte.
cxlvi
Ma il chiaro Seguran, ch’a nullo cede
Di valor, di prodezza, o d’ardimento,
Con orgoglioso dir già muove il piede
Verso le porte, e l’apre in un momento:
Spinge chi tardo va, muove chi siede,
A chi non mostra ardir mette spavento;
Fa sonar d’ognintorno altere trombe
Sì che l’aria e la terra ne rimbombe.
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Veggionsi quinci e quindi arme e destrieri
Con fretta ritrovare, e muover d’aste,
Quei che vili eran pria divenir feri;
Sì che d’uno il valor per molti baste;
Ma i vecchi infermi e gli altri male interi,
Le madri pie, le verginelle caste
S’atterran supplicando a i sacri altari,
Che gli difenda il dì da i danni amari.
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Nella parte d’Avarco all’occidente
Che d’alquanto nell’Austro si rivolte,
Lontan come potrebbe arco possente
La saetta avventar sole in due volte,
Giace un piano arenoso, ove sovente
Inonda l’Euro alle gran piogge e folte
Che gli viene a man destra, e si distende
Dove un colle alla fronte assiso pende,
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Il qual detto dal vulgo è Sabbioniera,
Perchè tal la natura l’ha mostrato;
Ivi adunque adunar ciascuna schiera
Fa il forte Seguran dal manco lato.
Venne egli il primo, ed ha la gente fera
Che dalla fosca Ibernia avea menato,
D’Ultonia, di Momonia e di Lagina
E di Connacia ch’all’occaso inchina.
cl
Ha seco Banduin, di Persia detto,
Con Ideo ’l forte, antichi cavalieri;
Vien Palamede poi, l’altero petto,
Ch’avea di tutte l’Ebridi i guerrieri,
Ed a lui degnamente dier soletto
Di quaranta e tre isole gli imperi:
E non disdisse a lui l’Ila e la Iona,
Che pur raro o non mai cede a persona.