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xxv
     Ivi trovan, ch’a caso su ’l mattino
Va il campo visitando il pio Tristano,
Come la mandra suol fido mastino,
A cui il lupo non sia molto lontano;
Riguardagli esso e poi ch’è più vicino,
Vede il buon vecchio re ch’alza la mano
D’amicizia per segno e sceso in terra
Domanda pace alla perduta guerra.
xxvi
     Dicendo: O invitto, altero e chiaro germe
Del più onorato tronco che mai fusse,
Umil ti prego per le ornate e ferme
Virtù del sacro tuo Meliadusse,
Che non voglia oggi alle fortune inferme,
Ch’al lor più basso fine il ciel condusse,
Giunger più peso e vi sovvegna ancora
Del re Vagorre che fu vostro ognora.
xxvii
     Quand’ode il buon Tristan che questo sia
Vagorre, ch’onorò mai sempre quale
Padre e signor, che in bassa compagnia
Lì si mostrava a prigioniero eguale,
L’abbraccia e dice: E quale avversa e ria
Sorte al vostro valor tarpate ha l’ale?
Che di sì altero grado oggi vi veggio
D’ogni servo più umil venuto al peggio?
xxviii
     Gli risponde Vagorre: Non mie colpe,
Nè mio grave tentar soverchie imprese,
Ma il troppo amor ch’io porto altrui m’incolpe,
E la pia carità pura e cortese
Verso il miser Clodasso e me ne scolpe
La fè sincera e ’l gran desio ch’accese
Gli spirti in me di non lassarlo mai,
Ma seco aver comune il bene e i guai.
xxix
     E pregato da lui vengo in suo nome
A pregar Lancilotto che gli renda
Morti il genero e ’l figlio e gravi some
D’oro e di gemme per mercè si prenda,
S’a voi piace il lassarme e dirmi come
In ver lui più securo il passo stenda,
E supplicarlo ancor, s’ad uopo vegna,
Che svegli la pietà che in esso regna.
xxx
     Non potè senza lagrime a lui dire
Il famoso Tristan: Padre onorato
Non sol potrete voi securo gire,
Ove per chiaro amor sete inviato,
Ma voglio insieme anch’io con voi venire,
In fin ch’al padiglion v’aggia recato
Del nobil Lancilotto, dov’io spero,
Che ’l vostro bel desio si compia intero.
xxxi
     Così detto comanda che da’ suoi
Gli sia libero, aperto e largo il varco,
Ove esso il primo e gli vien dietro poi
Ideo col carro prezioso carco;
Giungon senza trovar chi ’l passo annoi,
Ove il gran destruttor di quei d’Avarco
Sotto l’abergo suo soletto stasse,
Con le pie luci ancor languide e basse.
xxxii
     Il qual tosto che scorge il suo Tristano,
Con dolce salutar vicin gli accorre,
Abbraccia il collo e stringeli la mano,
E ’l face in ricco seggio appo sè porre,
Quand’ei gli mostra in abito sì strano,
E ’n lugubre dolore il re Vagorre,
Dicendo: Ecco cui manda altrui pietade
A trovar voi per sì dubbiose strade.
xxxiii
     Quando affisa la vista il cavaliero,
E l’onorato re ben raffigura,
Surge in piè riverente e poi qual fero
Destino avverso o quale aspra ventura
Qui conduce or, dicea, l’unico e vero
Mio padre antico, in cui posi ogni cura
Di servir sempre, avvegna che la sorte
N’ha date al guerreggiar contrarie scorte?
xxxiv
     Indi in più degno seggio collocato,
Segue oltra: Or che comanda il mio signore?
Al qual nulla da me sarà negato,
E sia la vita ancor fuor che l’onore,
Che d’alcun dritto amico domandato
Non fu già mai che no ’l consente il core,
Ch’esser non può, che di virtù ripieno,
Poi che candido amor riceve in seno.
xxxv
     Allora il vecchio re, poi che l’ha stretto
Al collo intorno, come pio figliuolo,
Comincia: O cavalier per gloria eletto
Del nostro mondo da chi regge il polo,
Non desir di mio ben, nè proprio affetto
D’alcun congiunto, disarmato e solo
In tra l’arme nemiche m’ha condotto
Al cospetto venir di Lancilotto;
xxxvi
     Ma la vera pietà ch’aver si deve
Degli avversari ancor, non pur de’ suoi;
Quando oppressi veggiam da peso greve,
E ’l potergli alleggiar sia posto in noi;
E tanto più s’all’affannarsi breve
Lunga e ferma speranza segua poi,
Come a me avvien, che ’n pochi passi vegno
A chi di cortesia sostiene il regno:
xxxvii
     E che non ave a schivo l’ascoltare,
Chi da’ nemici suoi preghiere porti;
Nè che i duri nemici soglia odiare
Poi che gli ha in suo poter battuti o morti,
Ma le fortune afflitte consolare,
Posti tutti in oblio gli oltraggi e i torti,
Stimando che ’l perdono al vincitore
Più d’ogn’altra vendetta apporti onore.
xxxviii
     Per tai cagioni adunque e ’n questa speme
Negar non volli al misero Clodasso,
Peggio or che morto tal dolore il preme,
D’ogni ben nudo e di speranza casso,
Di voi pregar per le virtù supreme,
Per l’alto cor che già mai sazio o lasso
Non fu di bene oprar che ’n voi dimora
Più che in altro mortal fiorisse ancora;