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CANTO XXV
ARGOMENTO
Di Segurano e di Clodin suo figlio
Piange Clodasso sull’estremo fato:
Quindi del re Vagor segue il consiglio
E i corpi ottien dal vincitor spietato.
Regnan in Avarco il pianto e lo scompiglio;
Il duol di Claudiana e’ disperato;
Albina sviene su Clodino e spira:
Degli uccisi guerrieri arde la pira.
i
Delle prove onorate giunto il fine
Dietro al famoso re parte ciascuno,
E dell’albergo umil trova il confine,
Ove la sete sua sazia e ’l digiuno;
Poi ch’attuffando il sol l’aurato crine
Nell’onda occidental vien l’aer bruno,
Sovr’aspro letticciuol le membra stende,
E del lungo sudar restauro prende.
ii
Ma il pio figlio di Ban la nuda terra
Presso al buon Galealto ha per sostegno,
Pensa a lui sol nè mai le luci serra,
Che di riposo aver si chiama indegno,
E di cure mortali eterna guerra
Si sente dentro al sen di doglia pregno,
Or su questo rivolto or su quel lato,
Or supino ora in piè cangiando stato.
iii
Tornangli tutte in cor l’alte fatiche,
Che per terra e per mar seco sofferse,
E dove il ciel con le sue stelle amiche
Di vittoria il cammin seco gli aperse;
Che ’l trovò sempre tal, che fra l’antiche
Coppie fide in amar simil non scerse;
E non vuol più gradir felice sorte
Or ch’averla con lui gli ha tolto morte.
iv
Avvolto in tai pensier, come l’aurora
Con le rosate mani il giorno adduce,
Risveglia e chiama chi dormiva ancora
Della gente gradita ond’egli e’ duce;
Poi con ornata pompa trae di fuora,
Accesa intorno ampissima la luce
Di candide facelle, il gran re morto,
Per locarlo nel tempio al sacro porto.
v
Ove con larghe lagrime portato
Sovra il gran limitare in alto il pose,
Dentro albergo di piombo fuori aurato,
Che ’nfra drappi ricchissimi nascose;
D’attorno tutto il loco e’ circondato
Di palme e ’nsegne sue vittoriose;
Sotto a lui poscia stan di Segurano
Le spoglie appese di sua stessa mano.
vi
Non perchè eternamente ivi dimore,
Che per lui non gli par sede assai degna,
Ma infin che sia di quella impresa fuore,
E che d’Arturo in mano Avarco vegna;
Ch’allora ei proprio con supremo onore
Nelle fortunat’Isole ove regna
Il buon sangue di lui, per aspro mare
A’ suoi liti paterni il vuol portare.
vii
Or mentre ciò facea, dall’altra parte
Il misero Clodasso e la pia moglie,
L’afflitta Claudiana han tante sparte
Lagrime a terra in angosciose doglie,
Ch’avrian mosso a pietà Bellona e Marte,
E del fero Pluton le crude soglie,
Non pur la gente languida ch’ascolta,
Or non men che di duol di tema involta.
viii
Chè l’infelice popolo omai vede,
Ch’ogni saldo sperar s’è fatto vano,
Morto il suo valoroso Palamede,
Che ’l Britanno furor tenea lontano,
Poi quel nella cui mano avea più fede,
Che ’n tutte l’altre, il fero Segurano,
E ’l giovinetto re Clodin, nel quale
Parea fosse il rimedio d’ogni male.
ix
Pur del suo vecchio re sentendo il pianto,
Lagrimando di lui, se stesso oblia;
Che ’l vedea dispogliato il real manto
Chiamar la morte dispietata e ria,
Dicendo: E perchè m’hai lassato tanto
In questo velo, oimè? Che s’io morìa
Molti anni sono andati, il più felice
Era io del mondo, or sono il più infelice.
x
Ma pur potessi almeno in tanto duolo
Aver questo crudele aspro conforto,
Di vedermi ora innanzi il mio figliuolo,
Qual’ei si mostre, insanguinato e morto,
E potergli le piaghe afflitto e solo
Di lagrime lavar, poi dargli il porto
Ch’alle spogliate membra ultimo dassi,
Di terra ornata e di marmorei sassi.