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xxxix
     Ma se pur piace al Ciel di tale aita,
Al più grave bisogno, oggi privarve,
Non sia per questo in noi manca e fallita
Quella virtù che ’n tanti luoghi apparve.
Forse che l’ampia strada v’ha impedita,
Com’altri ha detto per più gloria darve:
E pur fia realissimo consiglio
Lo sprezzar per onore ogni periglio.
xl
     E quanto a me, non venni a tale impresa
Con speranza d’altrui che di me stesso,
Avvegna sì ch’assai mi duole e pesa
Di non vedermi Lancilotto presso.
Movete omai, che nostra voglia intesa
È tutta al fare il voler vostro istesso:
Già scolorata ha il sol la bianca aurora,
E mentre noi parliam si fugge l’ora.
xli
     Lieto più che mai fosse, il re Britanno
Diceva: E questi sono i cavalieri
Che con l’opere illustri onor si fanno,
Non col mostrar orgoglio e gire alteri.
Qual faremmo a’ nemici scorno e danno
Se due soli oltr’a voi cotai guerrieri
Nell’oste avessi! E con voi tutto solo
Spero loro anco dar perpetuo dòlo.
xlii
     Poi chiamato in disparte Maligante
Di Bandegan figliuolo, il re di Gorre,
Comandò ch’alla plebe intorno stante
Devesse il tutto in alta voce esporre;
Ed ei, passando molto spazio avante,
Giunto al mezzo di lei silenzio imporre
Fè da’ reali araldi, acciò ch’udisse
Ciascuno il suo parlare, e così disse:
xliii
     Poi che noi trapassammo il nostro mare,
Onorati fratelli e dolci amici,
Seguendo il sovran re, per vendicare
I ricevuti oltraggi da i nemici,
Già sei volte vedemmo il sol lustrare
Del suo ciel le medesime pendici,
E sette volte poi la sua sorella
Tornar congiunta alla medesma stella:
xliv
     Tal che poco a ciascun fia meraviglia
Quando saprà di noi l’alto desio
Di riveder la dolce pia famiglia
E far ritorno al suo terren natìo;
Che se la pace della guerra è figlia
E ’l dì chiaro ha ’l natal dal tempo rio,
Ben par che ’l giorno omai soverchio attenda
A far che l’una e l’altro il parto renda.
xlv
     Ma se noi guarderemo a quanto è stato
Fatto infin qui da noi con somma lode,
Le cittadi e ’l paese guadagnato
E l’altrui vendicate ingiurie e frode;
Non ci devria parer che indarno andato
Sia ’l dì veloce che le vite rode:
Anzi a Dio ringraziar tenuti semo
De i molti affanni e del sudore estremo,
xlvi
     Che n’ha fatti illustrissimi e immortali
Sopra quanti son oggi e che mai furo;
Pur che noi stessi a sì gran volo l’ali
Non cerchiamo impedir di visco impuro,
Perchè il fin de le imprese a noi mortali
Rende tutto il passato o chiaro o scuro,
E la gloria acquistata in danno e scorno,
Senza ben seguitar, faria ritorno;
xlvii
     E s’al mezzo cammin dell’opre altere
Non cercassimo a lui termine degno,
Il penar di molti anni in poche sere
S’avria posto l’oblio sotto il suo regno.
Convien ch’or più che mai cresca il volere
Di pervenire al destinato segno
D’espugnar la città di tanto nome,
E carchi andar di prezïose some.
xlviii
     Nè malagevol fia, se ’l core istesso,
Quale avemmo infin qui, ne resta in petto:
Chè questo è ’l chiaro dì che n’ha concesso
Il nostro re per sì onorato effetto,
Ed oggi adempierem quel c’ha promesso
Più d’un profeta e più d’un vate ha detto,
Allor che del futuro volse il Cielo
Alla vittoria e ’l tempo aprirne il velo.
xlix
     Non vi sovvien ch’alla isola di Vette,
Là ’ve più sguarda la famosa Antona,
Ch’eran le nostre navi in un ristrette
L’aura attendendo che dall’Orse suona,
Ch’Arturo il grande e le sue genti elette
E poi di grado in grado ogni persona
Al sacrificio avean le luci intente
Che ’n su ’l lito si fea divotamente?
l
     Che in un momento d’alto ivi apparire
Veggiam volando il fero uccel di Giove,
E di colombe timide assalire
Schiera che fugge e non sa, lassa, dove?
E mentre ha di predar maggior desire
In questa e ’n quella il crudo artiglio muove;
Sei ne percuote indarno ad una ad una,
Nè per pasto di lui ne resta alcuna;
li
     Che tutte sopra noi caddero a terra,
Altre nel collo altre nell’ali offese.
Doppo la sesta, irato il vol riserra
Dietr’una al fin, che la raggiunse e prese:
E sì tenacemente in piè l’afferra
Che non più come l’altre in basso scese,
Poi con la preda sua tant’alto sale
Che no ’l poteo seguir vista mortale.
lii
     Taurino allor, che di Merlino è figlio
E de’ celesti auguri ha l’arte vera,
Tutto informato dal divin consiglio
Disse: - Il Motore eterno d’ogni spera,
Colui che quanto vuole opra col ciglio
E fa pioggia e seren, mattino e sera,
Ne promette all’impresa alta vittoria,
E che sovra ’l mortal n’andrà la gloria.