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cxvi
     Or mentre in altra parte il chiaro Eretto
Ne mena il pregio suo di gloria pieno,
D’alto sdegno infiammato e di dispetto
All’incontro di lui surge Gaveno,
E dice: Di tai principi al cospetto
Vo’ che ’l ver qual’ei sia si senta almeno;
E giudichin da poi, se ragion fia,
Che ’l caval più che nostro di voi sia.
cxvii
     Non consentite voi che per inganno
Fuste, non per valor, vittorioso?
Che mentre io mi temea portarvi danno,
Ritenni il mio corsier di voi pietose;
E voi spronando mi rendeste affanno
In vece del ben fare; ond’io doglioso
Mi trovo il terzo, ove il secondo o ’l primo
Potea forse venir, s’io dritto estimo.
cxviii
     Quando il re giovinetto il vide irato,
E del padre e d’altrui biasmo temea,
Gli dice: Per tornar nel primo stato
Del vostro buono amor, com’io solea,
Non sol questo caval, ch’ho guadagnato,
Ma quanti mai n’avrò, quanti n’avea,
Che sien vostri, signor, contento sono,
E d’ogni mio fallir chieggio perdono.
cxix
     E così ragionando, in man gli pone
La briglia del corsier che seco adduce.
Non alle spighe all’arida stagione
La pioggia estiva più dolcezza induce,
Che fè del giovinetto il pio sermone
Nel petto irato dell’Orcanio duce;
L’abbraccia e stringe e gli risponde appresso:
A voi dono il cavallo e poi me stesso.
cxx
     E riconosco or ben, ch’è tutta in voi
La paterna virtù che non ha pare;
E prego il ciel, che voglia gli anni suoi,
E l’alta sua fortuna in voi versare.
Volgesi a Lancilotto e ’l prega poi,
Che voglia il terzo pregio a lui donare;
Et ei di Massimino in atto umano
La sopravesta allor gli reca in mano.
cxxi
     Ebbe il suo quarto don Nestor di Gave,
Che di Vittorio fu la regia sella;
Riman l’altera coppa d’oro grave
E di gemme e di perle ricca e bella,
Ch’è il quinto pregio che cursor non ave,
Che più possa sperare ornarsi d’ella;
Onde il pio Lancilotto in man la prende,
E con essa al re Lago il braccio stende.
cxxii
     Dicendogli: Io vi prego tutto umile,
O chiaro re dell’Orcadi famoso,
Che non vi sia da noi prendere a vile
Il basso don ch’a presentar sono oso;
Perchè poscia possiate in Bura o in Tile
Dentro al bel regno vostro in gran riposo
Bevendo tra’ miglior del valor’alto
Ricordarvi talor di Galealto.
cxxiii
     Nè si conviene a voi farne rifiuto,
Poi che di guadagnar pregio altramente
Vi contendono or gli anni e ’l pel canuto,
Che le membra guastando ornan la mente.
Lieto l’antico re del ricevuto
Onor fra tanta e sì fiorita gente
Risponde: Troppo è ver, figlio onorato,
Che ’l tempo ogni vigor m’aggia spogliato.
cxxiv
     Deh mi trovass’io tal quale allor’era,
Che ’l gran re Catanesio fu sepolto;
Chè non fu alcuno in quella festa altera,
Che contro al mio poter valesse molto;
Feci io del cesto alla battaglia fera
Restar quasi Roncon di vita sciolto;
Vinsi Ombrone alla lutta e ’l leve Anceo
Nel corso a me la palma concedeo,
cxxv
     Nell’avventar del dardo Aficle ed Ati,
Ch’avanzavano ogn’uom, privai d’onore;
Sol de’ destrieri in prova più pregiati
Fur di me alquanto Arantico e Fanore;
Non dirò più nell’arte ammaestrati,
Ma perchè il mio corsier nel gran furore
Fece al proprio tornar l’istesso fallo,
Ch’ora il suo far vedeste a Persevallo.
cxxvi
     Or di natura all’ordine m’arrendo,
Pascendo il cor della passata gloria;
E ’l vostro amico don gioioso prendo,
Per la vostra e d’altrui chiara memoria;
Nè di farmene adorno meno intendo,
Ch’io facessi unque mai d’altra vittoria;
Ch’esser del vostro amor tenuto degno
E d’intera virtù non dubbio segno.
cxxvii
     Rise il figlio di Ban; rivolto poi
Verso i duci più forti e cavalieri,
Dice in atto cortese: Or chi di voi,
Che tanti ce ne son di nomi alteri,
Fia che luttando gli avversari suoi
Stender ad uno ad un su l’erba speri,
Surga per onorar morto, chi solo
Fu vivo il primo onor di questo stuolo.
cxxviii
     E gli avem destinato il primo pregio
Nobil vaso d’argento e cinto d’oro,
In cui scolpio la terra il mastro egregio
Fra l’onde accolta con sottil lavoro,
E verso i labbri in alto il ricco fregio
Ha Febo in seno e delle Muse il coro;
E grande è sì, che in esso il vincitore
Potrà lavar giacendo il suo sudore,
cxxix
     Nè il vinto anco sarà senza mercede;
Che d’irsuto leone avrà la spoglia,
Con la testa d’argento e ciascun piede,
Qual’Ercole e Teseo portar si soglia;
E l’uno e l’altra fu tra le mie prede,
Ch’acquistai già dentro alla regia soglia
Del Cimbrico Pireo, che volea, lasso,
Soccorso contra noi dare a Clodasso.