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xi
     Ma perchè in dubbio son ch’una gran parte
Dell’esercito nostro no ’l consenta,
Chè chi invidiando si starà in disparte
Chi perch’a Lancilotto ha la’lma intenta:
Questi è suo amico, e quegli il tiene un Marte
E senza lui veder tutto paventa:
Ma spero in voi chè se ’l vorrete usare,
Il vostro dolce dir può il tutto oprare;
xii
     S’ha voi dunque paresse, io loderei
Di chiamar tosto il publico consiglio,
Al quale apertamente conterei
L’onor di tutti in quanto sia periglio,
E come oggi sarem di viltà rei
E del primo valor posti in esiglio
S’alcuna pruova non mostriam di noi;
Voi seguirete ragionando poi.
xiii
     Dolce e ridente il valoroso vecchio
Risponde: Or vegg’io ben l’alta virtude
Di Pandragon come in un chiaro specchio,
Che col senno reale in voi si chiude.
All’obbedir più pronto m’apparecchio
Ch’a ricercare omai martello o incude
Per fabbricar consigli entro al mio seno,
De’ quali ottimi e certi sète pieno.
xiv
     Così fermo in tra lor, fu comandato
Che la tromba reale immantenente
Al publico consiglio in ogni lato
Chiamasse i maggior duci e l’altra gente.
Tosto che tutto il popol fu adunato
Sovr’alto trono aurato degnamente
Posto il re prima, a gli altri illustri foro
Dati dovuti seggi a i merti loro.
xv
     Allora in chiaro e placido sembiante
Riguardandogli intorno, il sacro Arturo
Così dicea: Colui ch’ha sempre avante
Il presente, il preterito e ’l futuro,
Che ’ntende il tutto, e con le luci sante
Aperto scerne quel ch’a gli altri è scuro,
Spesso conduce l’uom per via di pene
Al proprio desïato e sommo bene;
xvi
     Ed opra che i mortali spesso fanno
Cose che colme a noi sembran d’errore
Che al fin veggiamo, onde s’attende il danno,
Il nostro util venire e ’l nostro onore.
Alle prime virtù che in alto stanno
Non arriva pensier d’uman valore,
E perchè il lor voler più ascoso vada
Non tengon sempre la madesma strada.
xvii
     Io non posso negar ch’io devea forse
A più gran sofferenza ieri armarme:
Ma l’altrui fero orgoglio tanto scorse
Ch’io più non volli e non potei frenarme,
Ch’assai giusta cagione a dir mi porse
Ch’io non temea restar senza quell’arme
Ch’ei troppo apprezza tra voi tali e tanti
Re, duci, conti e cavalieri erranti.
xviii
     Certo che d’un sì ardito cavaliero,
Con gli altri poi ch’a lui d’intorno sono,
In sì stretto bisogno, a dirne il vero,
Troppo saria il soccorso utile e buono:
Ma senza quello ancor sicuro spero,
Prima per somma grazia e proprio dono
Di chi fa il tutto, e poi per l’opre vostre,
Che la vittoria fia ne le man nostre.
xix
     E ben dir si porria che quella speme
Ch’avea ciascun di noi nel suo valore
Ne facea incauti e men concordi insieme,
Che ’l soverchio sperar padre è d’errore;
Ma s’alquanto timor gli animi preme,
Vien più sano il consiglio e saldo il core
Tal che noi non avem, chi dritto stima,
Più dubbioso il trionfo oggi che prima;
xx
     E tanto più che forse ora i nemici,
Che gli sdegni de’ nostri avranno uditi,
Pensando i cieli a’ lor disegni amici
Molto più del dever saranno arditi:
E ’n brevissimo tempo sè infelici
E noi vedranno di lassù graditi,
Pur che noi disponiam con gran ragione
Di bene usar la dritta occasïone.
xxi
     Loderei dunque molto che ’n quest’ora,
Quando si crede meno, ordin si desse
Di trarre il nostro esercito di fuora,
Che con diversi assalti ricingesse
La città intorno, e dimostrar ch’ancora
Avem quei cori e quelle mani istesse,
Quel medesmo valore e quella gente
Ch’han provato oltra il mare e qui sovente.
xxii
     E quando anco, signor, paresse a voi
Che ciò fosse a tentar troppo periglio,
Ma senza quello irato e gli altri suoi
In pace dimorar, miglior consiglio;
Col proprio amor, come se fusse a noi
Padre ciascun di voi, fratello o figlio,
Prenderò tutto in grado, e ’n questo giorno
Presto son nel mio regno a far ritorno:
xxiii
     Che comune è di voi, non di me solo,
Quel che ne dee seguir, disnore o gloria.
Bastami non sentir ne l’alma duolo
D’avervi ascosa o tolta la vittoria,
O che la colpa mia chiudesse il volo
All’eterna di voi chiara memoria;
Nè d’altro calme: il resto pongo in Dio
E ’n voi moderator del voler mio.
xxiv
     Qui si tacque, e ’l re Lago il dir riprese:
Famoso re, poi ch’all’antica etate
Ogni legge, ogni gente, ogni paese
Concedon la suprema degnitate,
Rispondo il primo, e dico che l’imprese
Con sì chiaro valor gipiù cominciate
E lungo tempo andate e al fin ristrette
Non si devon lasciar se non perfette;