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ix
     Et or, che quasi in man certa vittoria
Già degli Orcadi avete e di Gaveno,
Per dubbiosa, dannosa e vana gloria
La volete lassar nell’altrui seno?
Quando fia lunga e chiara la memoria
Nel patrio nostro e nobile terreno,
Quando saran degli Ebridi le soglie
Degli Orcadi vicin carche di spoglie?
x
     Come fia più gran suon del nostro nome,
Che d’aver vinto sol di Bano il figlio?
E d’infiniti aver le forze dome,
Che del sangue d’un solo esser vermiglio?
Per qualli ornati avrem l’Ebridi chiome
Dal britannico fior, dal Franco giglio,
Abbattendo color, che ’n su la cima
Tien di valore il mondo e invitti estima;
xi
     Non per aver’ ucciso un guerrier solo
Di furor più ripien, che di virtude,
Giovine e traportato d’alto duolo,
Che del morto compagno in lui si chiude;
Prenda il vostro desio più altero volo;
Cerchi il vostro affannar più degna incude;
E la spada famosa in ogni terra
Sia posta in opra a più lodata guerra.
xii
     Il fero Ebrido allor, che ’ntende e vede,
Che ’l timor, ch’ha di lui, muove il suo dire,
Risponde irato: Or dunque a Palamede,
Che di portar due spade ha solo ardire,
Fallirà l’alto cor, la mano e ’l piede
Dell’una e l’altra impresa oggi fornire,
D’uccider quello e d’esser presto poi
A distrugger qui Lago e tutti i suoi?
xiii
     Rimanete pur voi, prendendo cura
A’ bisogni più gravi, in fin ch’io rieda
Da trarre il nostro popol di paura,
Che d’un sol cavaliero è fatto preda;
Mostrando altrui, come a virtù matura
Il giovinil furor piegando ceda,
E gran fiamma, che vien da picciol foco,
Al tempestoso ciel contraste poco.
xiv
     Così detto si parte e ’l fratel lassa
Pien di dubbio dolor di tale impresa;
E col suo Brunadasso oltra trapassa,
Ove il figlio di Ban fa grave offesa
Alla gente d’Avarco in guisa lassa,
Che posta ha nel fuggire ogni difesa,
Mentr’ei volgendo a questa e a quella amno
L’odiato Seguran ricerca in vano.
xv
     E mirando, vicin vede a lui farse
L’altera coppia, che spronando viene;
Ch’al primo riguardar degna gli parse,
Che d’esser l’un de’ duoi gli accenda spene;
E di sì gran desir nell’animo arse,
Che d’alquanto aspettargli non sostiene,
Ma incontra spinge il candido corsiero,
Lassando a lui del fren l’arbitrio intero.
xvi
     Ma poi che più s’appressa e bianco e bruno
In quadri minutissimi distinto
Scorge lo scudo in alto, sa che l’uno
Sia Palamede, che ne viene accinto;
E di due spade, onde mai fu nessuno,
Sopra il sinistro fianco il vede cinto;
Dell’altro il cancro aurato in negra sede,
Che Brunadasso sia gli ha fatto fede.
xvii
     In guisa di levrier resta smarrito,
Che da lunge venir damma o cervetta
Seco stimando, per l’erboso lito
Or si fa incontra ed or nascoso aspetta;
Chè sdegna in sè, del suo pensier fallito,
Poi che vide, ch’ei fu correndo in fretta
Un cornuto monton, che a quella strada
D’alcun lupo vicin dubbioso vada.
xviii
     Tale avviene al guerrier, da poi chè certo,
Che ’l ricercato Iberno ivi non sia,
E ragiona in suo core: Or veggio aperto
Quanto ho ne’ miei desir la sorte ria;
Che mi face il sentier sassoso ed erto,
Ch’ad altrui piano e dolce diverria,
Di ritrovar colui, che in ogni loco
Suol non meno apparir, ch’all’ombra il foco.
xix
     E ’n tai duri pensier la coppia trova,
A cui parla: Signor, le vostre insegne
Conosco io ben, che mille volte in prova
Quant’altre mai d’onor le vidi degne;
Nè con lor cercherei battaglia nuova;
Ma se le voci mie non sono indegne,
Di mostrarmi il cammin vi pregherrei
Da ’ncontrar Seguran, ch’io sol vorrei.
xx
     Ma il ferocissimo Ebrido, che vuole
Di Lancilotto il dì la palma avere,
Risponde alle cortesi sue parole:
Lunge è molto di qui con le sue schiere,
E troppo in basso omai cadrebbe il sole
Pria che ’l poteste in ozio rivedere;
Ma per non trapassar quest’ora in vano,
Armate in vece sua ver me la mano.
xxi
     E così detto; il brando ch’alto avea,
Sopra la testa scarca a Lancilotto
Sì ch’ogn’altro guerriero a morte rea
Con l’infinita forza avria condotto;
Ma l’intrepido cor, che ’n sen tenea
L’offeso cavalier, non resta sotto
Il grave peso estinto, ma s’accende
Qual fiamma al vento, ove il vigor riprende.
xxii
     E dice tutto irato: Io non pensai
Da sì chiaro guerrier ricever questo;
Nè che ’l cortese affetto, ch’io mostrai,
A sì gran cavalier fosse molesto;
Ma il ciel chiude la vista a cui dar guai
Dispone e gli apparecchia aspro e funesto
Fine al viver mortal; come a voi face,
Poi che ’l torto adoprar meco vi piace.