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E gli vien sovra l’elmo, che non dura
Più ch’a grave martel vetro ben frale:
Partegli il capo e ’nfino alla cintura
Scese squarciando il ferro aspro e mortale:
Di sangue aspersa e d’atra nube oscura
L’anima diperata aperse l’ale,
E del regno tartareo volò in seno,
Lassando aperto il carcere terreno.
CANTO XXIII
ARGOMENTO
Da Brunadasso a Palamede avviso
Che Lancilotto tanta strage apporta;
Quegli accorre e pugna e resta ucciso
Con Brunadasso ancor, che gli era scorta.
Clodasso intanto dalla torre assiso
Mira la gente fuggitiva e morta
Da Lancilotto, e il suo figliuolo istesso
Da quello estinto, e Segurano appresso.
i
Il subito cader di sì gran duce,
Ch’era d’ogni suo ben la prima speme,
Ne i germanici cor tal tema induce,
Che per tosto fuggir l’un l’altro preme;
Ciascun con ratto piè si riconduce,
Ove vedea de’ suoi più gente insieme;
E ch’apparia la strada più secura,
Per gir d’Avarco alle bramate mura.
ii
Ma in questa arriva il fero Brunadasso,
Ch’avea seco i guerrieri, ove Eno e Lico
S’accompagna con l’Istro e scende in basso,
Ove il Retio terren più viene aprico;
E con gran cura il fuggitivo passo
Di quel popol vicino e dolce amico
D’arrestar cerca; e tutto andava in vano,
Ch’ei senz’altro ascoltar giva lontano.
iii
Nè potendo altro far, rivolge il piede,
Ove non lunge a lui dal destro lato
Contra il re Lago il nobil Palamede
In intricata guerra avea lassato;
Quinci e quindi spronò tanto, che ’l vede,
E ’n parlar basso a tutti altri celato
Disse: O gran re dell’Ebridi, noi semo
Senza il vostro soccorso al punto estremo.
iv
Morto e’ Farano, Estero e ’l suo Drumeno,
E ’l peggio e’ Dinadan poscia e Brunoro
Dal crudo Lancilotto, che ’l terreno
Ha bagnato pur or del sangue loro,
E già sopra i German trionfa a pieno,
Qual sovra le giovenche, ch’han del toro
Già smarita la guardia e del pastore,
Sfoga il lupo famelico il furore.
v
E però se di noi punto vi cale,
Del vostro Segurano e di Clodino,
Venite a dar riparo all’aspro male,
Ch’al mortal nostro danno e’ già vicino.
Grave e noioso duol l’Ebrido assale,
L’altrui biasmando e ’l proprio suo destino,
E riman dubbio alquanto, s’egli sproni
Ver Lancilotto e i suoi quivi abbandoni;
vi
O se pur segua l’opra, ove ha speranza
Danneggiare il re Lago e ’l figlio Eretto;
Ma il pensier, che d’onor quel primo avanza,
Scaldò più il cor nell’animoso petto,
E di poter gli reca alta baldanza
Riportar la vittoria al fin perfetto,
Se Lancilotto spegne; che sol’era
Degli avversari lor la luce intera.
vii
Così fremo in tra sè, Safaro il frate,
Che non lunge era a lui, chiama in disparte,
E gli dice: Or’il tutto riguardate,
Che sia ben provveduto in ogni parte,
Mentre ch’io vò dove ha rotte e fugate
Le nostre genti ed ha per terra sparte
Le germaniche insegne Lancilotto,
E con molti Brunoro a morte indotto.
viii
Tremò tutto nel core il pio Germano,
Quando udio del guerrier la dura impresa,
E risponde: A me par, ch’adopre in vano,
Chi sè abbandona per l’altrui difesa;
E chi più, che ’l suo stesso, ama lo strano,
Caritade ha di torta fiamma accesa;
Volete voi lassar per altrui scorno
Senza il suo proprio duce il vostro corno?