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cix
     Ch’oltra molti ha Drumen della Fontana,
Con Estero e Faran dal mondo tolto;
Or tra la gente misera germana
È qual fero leon nel sangue avvolto;
Ch’ha la strada a’ suoi danni aperta e piana
Sendo ogni duce suo di vita sciolto,
Tal che ’n brevissima ora il popol tutto,
Senza aiuto novel, sarà distrutto.
cx
     Quando il fero Brunor l’aspre novelle
Dell’amato fratel misero intende,
Alzando gli occhi al ciel, contra le stelle
Lo spietato parlar cruccioso stende:
Crude faci - dicendo - inique e felle,
Dalle quali ogni mal fra noi discende,
E nel cui duro sen, d’ogni virtude
Somma invidia e velen lassù si chiude.
cxi
     Voi non potete far danno maggiore
Al germanico lito e al mondo tutto,
Or che per vostro oprar, l’alto valore
Nel mio buon Dinadan giace distrutto;
Ma seguane che può, che brevi l’ore
Saran della mia vita o del mio lutto;
Chè questo istesso dì lui vendicato,
O me seco vedrà cangiando stato.
cxii
     Poi rivolto ad Arvin, dice: Or vi piaccia
Di menarmi ov’è il figlio del re Bano,
Ch’al volere e ’l dever si satisfaccia
Per sì famoso duce e pio germano.
Così parlando, alla famosa traccia
Si mettono ambedue; nè ’l fanno in vano,
Che poco andar, ch’apparve Lancilotto,
Che ’l popolo uccidea fugato e rotto.
cxiii
     Come il vide Brunoro, in vista fasse,
Qual lupa irata, che ’l leon scorge,
Che dal nido a lei lunge i figli trasse,
E che cibo ne fa tardi s’accorge;
Che quantunque a tal fera umili e lasse
Sue forze estimi, tale ardir le porge
La materna pietade, e ’l duol che stringe,
Ch’a disperata guerra il dente accinge.
cxiv
     Tal l’irato German, ch’aperto vede
Troppo alto al suo potere il guerrier Gallo,
Pur pensando al fratello, al dolor cede,
E quanto può ver lui muove il cavallo,
Gridando: Il seguitar sì basse perde
In cavalier d’onore è troppo fallo;
Torni a me il volto Lancilotto e prove
Se chi l’agguaglie o ’l vinca si ritrove.
cxv
     Volgesi al suo chiamare il gran guerriero,
E che ciò sia Brunor gli è tolto avviso
Al bianco scudo, in cui tra rosso e nero
Ha il surgente leone il pel diviso;
Tutto umil poscia al suo parlare altero
Signor - risponde - se ’l mio brando ucciso
Ha del popol più vile, anco sentiti
Han talor de’ suoi colpi i più graditi.
cxvi
     E se di lui tentar desio v’assale,
Mi parria rifiutando oltraggio farme;
Pur con altro guerrier, che non men vale,
Molto più che con voi, vorrei provarme;
Perch’al nobile spirto mai non cale
Contr’a chi non l’offese muover l’arme,
Com’or farò con voi, che mai nemico
Non tenni in questo o in altro tempo antico.
cxvii
     Ma il superbo Brunoro allora irato
Più ch’ancor fosse mai crudo favella:
Se voi non sète a noi nemico stato,
A voi son’io per la cagion novella,
Chè del caro fratel resto privato;
Il qual l’aspra fortuna empia e rubella,
Non la vostra virtù, condusse a morte,
Chè più d’altro e di voi fu ardito e forte.
cxviii
     E con fermo voler di vendicarlo
Vengh’io, se foste ben tutto adamante;
E se ’l mio reo destin negherà il farlo,
Morrò qual duce e cavaliero errante;
E che mi roda il cor, qual legno tarlo,
Non mi fia mai sempre il gran germano avante
La notte e ’l giorno e mi rammente ch’io
Debba per lui compir l’uficio pio.
cxix
     Al parlar disperato di Brunoro
Lancilotto alla fin così risponde:
Se ’l cipresso cercate o ver l’alloro,
Nè vi cal qual si sia delle sue fronde,
Agevol vi sarà l’una di loro
Meco trovar; che in questa man s’asconde
Di quei la morte, ch’ostinati vanno
Bramosi contra lei del proprio danno.
cxx
     Tacque il fero German d’ira e di doglia
Premendo il chiuso core e ’l brando scarca
In Lancilotto, il qual più che mai soglia
Sente la destra spalla esserne carca,
Ma il sacro acciaro e l’incantata spoglia
Al securo difender non fu parca,
Et oprò sì, ch’alla percossa stanca
Nel suo primo arrivar la forza manca.
cxxi
     Ma raddoppia il crudel presso al cimiero
Del lucid’elmo in su ’l medesmo lato,
Sì che d’esser sì forte ebbe mestiero,
Ch’ogn’altro ne saria rotto e fiaccato,
E quel rimase pur sì saldo e ’ntero,
Che non più ch’adamante, cangiò stato;
Ripone il terzo colpo al proprio loco,
E sol d’ampie faville accese il foco.
cxxii
     In così gran prestezza e ’n tal furore
I colpi van, che Lancilotto a pena
Puote armar verso lui la mano e ’l core,
E ripigliar la traviata lena;
Pur rivestendo alfin l’usato ardore,
Onde gli ha il quinto ciel l’alma ripiena,
Mena il brando ver lui con quella forza,
Ch’ogni possa mortale abbatte e scorza: