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     E fè dentro al terren profonda stampa,
Qual faro suol, che ’l popol pio ripose
Sovr’alta torre, a far notturna lampa
Al nocchier dubbio alle stagioni ombrose;
Che ’l folgore crudel, che ’l cielo avvampa,
Col possente furore in basso pose
Dalla parte contraria alle sals’onde,
Che nel lito arenoso il mezzo asconde.
xcvi
     Come il vede cader, chiamando i suoi
Lancilotto dicea: Diletti amici,
Di riportar pongh’io la cura in voi
Costui, con quanti avrò duci nemici
Condotti a morte, al padiglion di noi
Con tutte l’arme, a ciò che l’infelici
Essequie sian di tai guerrieri ornate,
E di chiare vendette a i morti grate.
xcvii
     Risponde un suo scudier, chiamato Eleno:
Non fia ’l vostro desir vòto d’effetto;
E di quattro de’ suoi l’ha posto in seno,
Che assai tosto il portaro, ove gli ha detto;
Ma il cavaliero Ercinio, il pio Drumeno,
Vedendo allor con doloroso affetto
Morire il buon vicino, il caso rio
Di vendicar, potendo, avea desio;
xcviii
     Ma perchè non ha speme essendo solo
Di poter contrastare a forza tale,
Estero e ’l suo Faran con largo stuolo
Del suo corno german, che in arme vale,
Chiamando dice: Ora sproniamo a volo
Sovr’a questo crudel, che i nostri assale
In così stran furor, che par ch’e’ voglia
Sol di noi riportar trionfo e spoglia.
xcix
     Or leviamlo di terra e si dimostre,
Ch’anco nudre virtù l’Albi e Visera,
Che lunge inondan le campagne nostre
Non men ch’or faccian qui la Sena e l’Era;
E se la lancia mia con l’altre vostre
Andando verso un sol non avrà intera
La gloria, assai ne fia l’avere spento
Chi sembra oggi di noi morte e spavento.
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     In cotal ragionar, son giunti insieme
Venti chiari guerrier, ch’uniti vanno
Contra il gran Lancilotto e ciascun preme,
O di lancia o di brando a mortal danno;
Ma non crollan le membra o l’alma teme
Del fero Gallo a i colpi che gli danno;
Chè di valor fornito e d’alta spene
Con magnanimo ardir tutto sostiene.
ci
     Sì come orso talor nell’alpe suole;
Se di rozzi mastini ha schiera intorno;
Chè mentre questo e quel ferir lo vuole,
Fa più a sè, ch’al nemico, oltraggio e scorno,
E di offendere in van si lagna e duole
L’ispido vel d’ogni fortezza adorno;
Ned ei si muove pria, che veggia tutto
Ristretto il cerchio in un con poco frutto:
cii
     Poi surge in piede e le nodose braccia
Ambe in giro menando, quanti arriva,
O latrando feriti a terra caccia,
O morti stende alla nevosa riva;
Salvo è sol chi lo scampo si procaccia
Col ratto corso e l’altra gregge priva
Riman di spirto; ed ei rabbioso in vista
Contro a chi si fuggia rugge e s’attrista.
ciii
     Così il figlio di Ban, poi ch’ha lassato
L’arme sfogar de’ miseri Germani,
Il suo estremo potere ha riversato
In essi ad uno ad un, ch’ha men lontani;
Farano il primo fu ch’egli ha trovato,
Che già, rotta la lancia, ad ambe mani
Alza ’l brando a ferir, ma pria ch’abbasse,
Feo le voglie ch’avea di forza casse;
civ
     Ch’una punta gli pose, ove le coste
Dan curvate su ’l petto al ventre loco;
L’eterne nubi alle sue luci imposte
Furo, e spento nel cor lo spirto e ’l foco;
Estero poi, che di Clodasso l’oste
Con quei di Sclesia rallumò non poco,
Trova il secondo, e ’l parte dal cimiero
In fin dov’egli inforca il suo destriero.
cv
     Drumeno è il terzo, che degli altri duce
Fu in questo assalto e con più ardir si muove;
Ma nell’istessa forma esso conduce,
Nè gli giovar con lui l’antiche prove;
Chè Lancilotto alla sinistra luce
Gli mise il brando e passa, ove ritrove
Della memoria il seggio; onde partio
Tinto avanti al morir d’eterno oblio.
cvi
     Sovra gli altri da poi stende la mano
L’ardito Lancilotto, infin ch’egli ave
Tutto il drappello omai versato al piano,
Fuor solo alcun, che rifuggendo pave;
E ’l suo fidato Eleno a mano a mano
Fa la schiera che ’l segue intorno grave
Del peso di ciascun, ch’ivi era duce,
Ch’al padiglion con gli altri gli conduce.
cvii
     Ma il fello Arvin, che quelli in guerra avea
Nati, ove alla Pomeria è il mare aggiunto,
Dell’aspra sorte de’ compagni e rea
Di dovuto dolor l’alma compunto,
Ove il nobil Brunoro combattea
Col possente Tristan, volando è giunto,
E gli dice: Il protervo Lancilotto
Ha il corno ove noi semo a fin condotto.
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     Egli ha, chiaro signore, il fratel vostro,
L’altero Dinadan sospinto a morte,
Il quale in van contra l’orrendo mostro
Si vide più ch’altrove ardito e forte;
Ma nè ’l suo gran valor, nè l’altro nostro
Più riverito stuol, ch’ivi era a sorte,
Poteo ben rintuzzar di lui la rabbia,
Ch’ha di spirto infernal le fosche labbia.