Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/20

CANTO II

ARGOMENTO

      Arturo sorge dalle piume e aduna
I capitan per assaltare Avarco.
Aringa lor, nè tace causa alcuna
Che lo spinge a brandir la spada e l’arco:
Prendesi di pugnare, e la digiuna
Brama si spegne in pria; poi sotto il carco
Dell’armi ognun si mostra al rege Arturo.
Clodasso pur co’ suoi esce dal muro.

i
Mentr’ogni altro mortal di cure sciolto
Dava riposo all’affannate membra,
Di gravosi pensieri Arturo avvolto
Il sonno ha in bando, e d’avampar gli sembra:
Nell’alma ha fisse le parole e ’l volto
Di Lancilotto irato e si rimembra
Di quanto e’ stato; e ’l punge ancor l’immago
Del fido Galealto e del re Lago.
ii
     L’ira lo spinge e sprona, tema il frena
Di non portare a’ suoi danno e disnore,
Che non vorria però sentir la pena
In altrui gir del suo commesso errore.
Ha la mente real di dubbio piena:
Qui combatte il profitto e qui l’onore;
Vince al fin la virtude, e vuol ch’ei vada
Per più lodata e più dannosa strada.
iii
     Dicegli ch’un tal re mostrar si deve
Più sempre ardito nell’avversa sorte,
Che nulla impresa e’ perigliosa o greve
All’alto valoroso animo forte;
E se ’l prendere Avarco fia men leve
Non avend’ei di Lancilotto scorte,
Che molto ancor maggior fia la vittoria
Senza quel che ricopre ogni sua gloria.
iv
     Così fermo nel cor, pria che l’Aurora
Spiegati i biondi crini annunzie il giorno,
Sopra del letto suo sedendo ancora
Le sete e gli ostri si ravvolge intorno;
Poi l’uno e l’altro piè traendo fuora
Di panno porporino il face adorno,
E ’n basso armato di ben culta pelle,
Gli spron s’adatta dell’aurate stelle.
v
     La real chioma sua ricuopre poi,
Onde possa sprezzar la pioggia e ’l sole;
Cinge indi la spada, che de’ suoi
Fu lunga possession di prole in prole;
Veste il bel manto ch’a quegli altri eroi
Mostra che sovra lor s’onora e cole;
Prende lo scettro al fin, che in alto pende,
E quale ardente sol di gemme splende.
vi
     Monta sopra il caval, non un di quelli
Ch’usava in guerra e ’n perigliose pruove
Ma picciolo, e che insieme i piedi snelli
D’un lato istesso dolcemente muove;
Vieta ch’alcuno il segua o gli altri appelli,
Ma tutto sol, mostrando gire altrove,
Al padiglion che poco lunge avia
Il vecchio re dell’Orcadi s’invia.
vii
     Truoval che del suo letto uscito a pena
Tutte le vesti intorno anco non ave;
Tal che, di meraviglia l’alma piena,
Gli dice: O sommo re, qual caso grave
Davanti al giorno e così sol vi mena
Verso colui cui nulla e’ più soave
Che l’obbedirvi? E perchè non più tosto
Fu di farmi chiamar da voi disposto?
viii
     Risponde Arturo: Io vi volea soletto,
Innanzi a l’apparir de’ duci nostri,
Aprir nuovo pensier ch’io porto in petto,
In cui publico ben par si dimostri:
Chè non trovando mai d’amor difetto
Nè d’alta fede ne’ ricordi vostri,
Ragione e’ ben che ciascun mio consiglio
Scuopra a voi prima, come a padre il figlio:
ix
     Sappiate adunque che l’andata notte,
Che sola in gravi cure consumai
Conoscendo le cose a tal condotte
Che se ne può temer vergogna e guai,
Poi che l’aperte strade n’ha interrotte
Chi ’l devea meno, e di cui men pensai,
Disposi in me, col pio voler di Dio,
Di non ceder, temendo, al tempo rio;
x
     Ma qual fiero nocchier con vela e remo
Al contrario soffiar volger la prora:
E s’avvegna che può, ch’io nulla temo
Che ’l porto amato non si trove ancora;
Che se in vera concordia oggi vorremmo
Spiegar l’alta virtù che in noi dimora,
So ben ch’Avarco non terrà sicuro
Ferro o fuoco ch’egli abbia o fosso o muro.