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CANTO XXII

ARGOMENTO

      Nella presenza del dolor novello
L’offesa antica Lancilotto obblia,
E appar placato fra il real drappello
Più caro a tutti, che nol fu dappria;
Di qui d’Avarco fa crudel macello;
Sgombra a’ Britanni alla città la via;
Dinadano e Brunoro, il fier germano,
Fra primi uccide, e fra i minor Farano.

i
D’argentato color l’alba splendea,
A’ mortali e gli dei menendo il giorno,
Quando, accusando ancor la sorte rea,
Al morto Galealto era d’intorno
L’invitto Lancilotto e s’assedea
Sovra lo scudo de’ suoi beni adorno;
Ma come lei spuntar di fuora vede,
Lassa ogni lamentare e quella sede.
ii
     E con alto chiamar risveglia i suoi,
Che non molto lontano a lui si stanno,
Dicendo a tutti: O più famosi eroi,
Ch’ebbe ancor mai l’esercito Britanno;
Men ch’a quanti altri son conviene a noi,
Chè deviam vendicar lo scorno e ’l danno
Di sì altera corona e sì famosa,
Che ’l dì quasi vicin ne trove in posa.
iii
     Or raccogliete in un le vostre schiere,
Ch’ogni duce de’ suoi la cura prenda,
Mentr’io vò il grande Arturo a rivedere;
Acciò che il mio voler più certo intenda;
Ch’io non vo’ più lo sdegno ritenere,
Poi che l’irato ciel per se n’offenda;
E seguane che può, che di lui solo
Sarò sempre guerrier, servo e figliuolo.
iv
     Così dicendo, solo e disarmato
Al padiglion reale a piè s’invia;
Truova il buon re dal sonno già svegliato,
Chè ’l romor, benchè lunge, udito avia;
Entra l’araldo Amaso e ch’arrivato
Era ivi Lancilotto gli dicia:
Fecel subito entrare e sovra il letto,
Onde non move ancor, l’abbraccia stretto.
v
     E pien di dolci lagrime l’accoglie,
Dicendo: Or non morrò se non contento;
Or la speme ch’avea dell’altrui spoglie,
Non temo più, che se ne porte il vento:
In questo mezzo omai lì si raccoglie
L’altro drappel de’ duci in un momento,
Chè del venir di lui senton la fama,
E ’l compagno e ’l vicin l’un l’altro chiama.
vi
     Venner tra’ primi i folgori di guerra
Maligante e Boorte a lento piede,
Sopra l’aste appoggiandosi alla terra,
Chè ’l dolor delle piaghe ancor gli fiede;
E Lionello entrambe si riserra,
Perchè degli omer suoi si faccian sede,
Questo a sinistra e quello a destra mano;
Poi seguiva il re Lago e ’l pio Tristano.
vii
     Doppo i quai Gargantino e Pelinoro,
Abondano, Uriano ed Agraveno,
Landone, il Brun, Mandrino e Talamoro,
E ’n tra i primi onorati iva Gaveno,
Che del sommo piacer, che scerne in loro,
Un non picciol dolor s’asconde in seno;
Sol restò Florio e ’l cavalier Norgallo
Di soverchio impediti e Persevallo.
viii
     Or nel cospetto lor l’alto guerriero,
Poi che baciato avea la regia mano,
Così dicea: Gran re, di cui l’impero
Ha di gloria ripien presso e lontano,
Il terren gallo, il betico e l’ibero,
Il nobil seno italico e ’l germano;
Eccovi il traviato Lancilotto,
Ch’al suo dritto cammino e’ ricondotto:
ix
     Onde i passi torcea, non per orgoglio,
Ma menato, credea, da giusto sdegno;
Nè per tama maggior di quel ch’io soglio,
Al gran seggio reale umile vegno,
Ma perchè tardo omai troppo mi doglio,
Chè del pio core uman passato ho il segno,
Di lassar tanto stuol lasso perire,
E sì onorati duci a morte gire.
x
     Deh quanto era il miglior per ambeduoi,
Che non fosse mai nata Claudiana:
O ch’ella fosse morta e ’nsieme i suoi
Frati, usciti quaggiù di stirpe strana?
Quel dì che prigionier gli fe’ di noi
Fortuna, de’ miei ben sempre lontana;
Chè mi diè gran vittoria e ricche spoglie,
Perchè mi fosser poi tristezza e doglie;