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     Squarciata poi la mal tessuta pace,
Duce rimena ancor l’armate schiere,
Ove in tra i Pirenei la terra giace,
Che ’l Nerbonese mar porria vedere;
Torna indi poi contra l’ardente face,
Che parea sormontar l’ultime spere,
Della guerra mortal, ch’aduna insieme
Il belgico, il germano e l’anglo seme.
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     E così giovinetto, ove Matrona
Le piagge erbose dolcemente bagna,
Ove il fren saggio accoglie, or’oltra sprona,
Ove più aperto il sen dia la campagna;
E ch’a tema o furor non s’abbandona,
Il vecchio imperadore in cor si lagna,
E ch’egli aggia alla fin s’accorge in vano
Di Fabio l’occhio e di Marcel la mano.
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     Onde all’estremo andar forzato appare
D’altra novella pace a consentire,
Con promesse a lui dure ad altrui care,
Ma con mente fermata di fallire:
Poscia ivi al ciel tra l’anime più chiare
L’alto parente suo vedea salire
Il grande Enrico, con la pietà stessa,
Che debbe in nobil core essere impressa.
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     Doppo il cui lagrimar, l’invitto core
I danni andati a vendicar s’appresta,
E dell’anglico stuol contra il furore
La già indormita spada altero desta,
E l’adopra cotal che ’n sì poche ore
Ogni salda muraglia afflitta resta,
Che dir puote: In tal fato l’arme cinsi,
Che in un momento venni, vidi e vinsi.
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     Poi che ridotto al pristino suo impero
Ivi apparia il gran lito de’ Morini,
Non men pietoso mostra il suo pensiero
A chi fuor sia de’ gallici confini:
Sentendo in preda dell’ogoglio fero
Di chi indotti gli avea gli aspri vicini
Il buon duce Romano afflitto e solo,
Qual germano il soccorre o qual figliuolo.
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     E ’l difende e mantien da quello istesso,
Che gli devria donar contr’altri aita;
Ahi crudo cor, dal suocero, ch’oppresso
Il tenea, lasso, e’ suoi nemici invita;
E poi che al miser padre avea permesso,
Che tolta fosse l’insidiata vita,
La medesma pia figlia e i suoi nepoti
D’ogni paterno ben fea cassi e vòti.
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     Ma il magnanimo Enrico del suo sangue,
E de’ suoi gran tesori è sì cortese,
Ch’ei riduce a salute il quasi esangue
Chiaro corpo illustrissimo Farnese;
Poi l’alma libertà, che morta langue
Pur dal ferr’empio delle Ispane offese,
Ritornar viva fa, integra e serena
Tra l’alme mura della etrusca Siena.
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     Tal che quanti hanno dei le tirrene onde,
Quante ninfe e driade ha il terren Tosco,
Ornando quei le sue salate sponde,
Queste il chiaro cristallo e ’l verde bosco,
Ciascun divotamente a Giove infonde
Preghi, che mai non sia più ch’allor fosco
Del buon re Gallo all’onorata voglia,
Sì che tutto il terren da i lacci scioglia.
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     Non molto lunge a questo sculto appare
Il medesimo Enrico sovra il Reno
L’invittissimo esercito menare,
E dell’alma Germania il largo seno
D’ogni furor tirannico sgombrare,
E dell’empio signor, romperle il freno;
E dall’infide braccia riconduce
L’uno e l’altro di lei famoso duce.
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     E lassando i suoi campi e ’l patrio nido,
Si vede in fuga aver l’infermo volo
Del magnanimo Gallo al primo grido
Di Giove il fero uccello afflitto e solo,
Mentre quel trionfante sovra il lido
Di Mosella e di Mosa il franco stuolo
Rimena; al cui valor non fu securo
Ferro, foco, montagna, argine o muro.
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     Scolpito ha intorno l’uno e l’altro frate,
Il secondo Francesco e ’l chiaro Carlo,
Quel furaron le Parche, congiurate
Di coronare Enrico e ’n cielo alzarlo,
Quest’altro giunto a più perfetta etate
Tosto il tolse colui che potea farlo,
Con soverchio dolor del padre pio,
Del gran germano e del terren natio.
civ
     I quai tutti vivean con ferma speme
Di veder sormontare il suo valore,
E di render più illustre il divin seme,
E più splendido far l’aurato fiore,
Come seppe il terren che Mosa preme,
Che mal contrasta al giovine furore,
Qual ben descritto lì potea vederse,
Che ratto al suo venir le strade aperse.
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     Nè il gran vate divino ivi entro ascose
Del frutto femminil le piante chiare;
Del gran Francesco la sorella pose
Sovra quante fur’ alme altere e rare;
E quale i minor fior le vaghe rose,
Le vincea tal, che in tutte l’altre avare
Parean le stelle; che versaro in lei
Quanto bene al mortal donan gli dei.
cvi
     Scritto avea nella fronte a lettre d’oro,
L’alma Regina, che i Navarri affrena;
Cingela Apollo del suo sagro alloro
In vista più che mai lieta e serena;
Non lontan poscia a così bel tesoro
Si leggea ’l nome pio di Maddalena,
Di Francesco primier progenie degna,
Che nel scoto terren non molto regna.