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lxv
     Doppo costui venia chi ’l chiaro nome
Tra ’l legnaggio real primiero porta,
Ch’oggi sostien d’onor famose some
Et a chi spira al ciel si mostra scorta;
Fu questi Enrico, che le forze ha dome
Al Normanno drappel, ch’alla via torta
Trasse la spada indarno e cinse l’elmo
Contra il duce illustrissimo Guglielmo.
lxvi
     Del medesmo seguir gli alti vestigi,
Giunta alla sorte lor la virtù vera,
Gli onorati Filippi e i gran Luigi
Potean vederse in gloriosa schiera,
L’un doppo l’altro; in cui gli oscuri stigi
Non potero adombrar la fama altera,
Come roder del tempo i crudi tarli
Non potero il valor de i quattro Carli.
lxvii
     Lì si scerne in Valese e in Orliense
Il sacro arbor real con sommo onore
I rami avere e le sue frondi estense,
Poi riducerle in sè con chiaro amore;
Quelle in Filippo il settimo, che spense
Più d’una volta l’anglico furore,
Queste in Luigi l’ultimo, ch’a freno
Tenne primier l’Insubrico terreno;
lxviii
     De i buon duci del qual mostrava uscire
La famosa ava sua, qual certa erede;
E chi a gran torto gliel volea disdire
Menar prigion tra le famose prede,
E più volte calcar con molto ardire
L’alpi nevose altissime si vede,
Or contra il chiaro Veneto, or per torre
Le discordie a Liguria e ’n pace accorre.
lxix
     Di sacra maestà la fronte cinta
Si vedea doppo lui giungere al regno
Il gran genero suo; quel che l’estinta
Bontà ridusse al pria lassato segno;
Quel ch’ogni alta virtù già in terra accinta
Per fuggirse da noi per giusto sdegno,
Con le bell’opre sue quaggiù ritenne,
E lieta e felicissima mantenne.
lxx
     Il celeste Francesco era costui,
Che del nome onorato fu il primiero,
Come il primiero ancora appar de’ sui
Di valor, di bontà, d’animo altero;
Ivi il saggio Merlino avea di lui
Più che d’ogni altro bel pinto l’impero;
E di più dotta man più bei colori
Adombravano iv’entro i rari onori.
lxxi
     Vivo ancor l’alto suocero, apparia
Scacciar sovente le nemiche squadre;
E mentre la sua vece sostenia,
Fare in consiglio e in arme opre leggiadre;
Nè pur la gioventù, ch’allor fioria,
Ma l’età ferma ed ogni antico padre
Nel senno e nel valor di sì bell’alma
Del suo verde sperar locò la salma.
lxxii
     Giunta poi la stagione, ove il ciel volse,
Poi ch’al quarto suo lustro era il natale,
Porlo al gallico impero e ’n man gli accolse
Degli indorati fior l’asta reale;
Il magnanimo re l’arme s’avvolse,
E del chiaro desio spiegando l’ale,
Per non lassar de’ suoi l’antica forma,
Nell’italico seno stampò l’orma.
lxxiii
     Lì si scorgea per lui l’Elvezio, invitto
Giudicato dal mondo infino allora,
Con le dure falange essere afflitto
E di vita e d’onor privo in un’ora;
Chè difendendo il mal negato dritto
Di chi Eridan, Tesino ed Adda irrora,
L’altrui gran torto e ’l suo voler superbo
Ebber qual convenia lor fine acerbo.
lxxiv
     E ’l famoso Francesco in arme fero,
Come in pace a’ miglior soave e piano,
Di Marte esercitando il sommo impero
Ben mostrava d’ogni altro esser sovrano;
Ch’or questo suo stancando, or quel destriero,
Or’ ch’avea ’l piè da lunge, or prossimano
Or d’una schiera, or d’altra, or prima , or dopo,
Come al bel guerreggiar veniva da uopo.
lxxv
     Nè appresso il faticar di quanto è ’l giorno,
Si rivedea la notte essere in posa;
Ma col ferro real tra’ suoi d’intorno
Non meno oprar nella stagione ombrosa,
Fin ch’al secondo sol di raggi adorno
Colse l’intera palma gloriosa,
Quando apparia la terra a maraviglia
Dell’avversario sangue esser vermiglia.
lxxvi
     Doppo il qual largo onor; cortese epio,
Come verso i figliuoi l’annoso padre,
Ogni offesa maggior posta in oblio
Si mostrò amico alle nemiche squadre;
Le quali in porto al suo terren natio
Dalle fere tempeste oscure ed adre
Feo secure menar, senz’altro affanno
Fuor ch’al primo di Marte avuto danno.
lxxvii
     Cinger si scorge poi la forte sede
Di fossi inghirlandata e d’alte mura,
Ch’avea d’inespugnabile tal fede,
Ch’alla forza mortal vivea sicura:
Ma quando il re magnanimo ivi assiede,
Non conosciuta pria sente paura,
S’ che se stessa e l’insubre suo duce
Sotto al gallico impero riconduce.
lxxviii
     A lui quanti han gl’italici terreni
Principi illustri e chiare libertati,
Venir qui si vedean d’amor ripieni,
Come al vero signore i servi grati,
Queste mandar degli adeguati seni
Di virtude e di senno i più pregiati,
Come al pio difensor dell’alme vaghe,
Chè del viver disciolto altri s’appaghe.