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cix
Qual tigre irata che ritrove il figlio,
Che ’n mezzo a i cacciator legato giace,
Che di questo e di quel molle e vermiglio
Il campo intorno furiando face;
Nè con l’aguto morso e con l’artiglio
Lassa i crudi avversari in tregua o ’n pace,
Fin che quanti vi son veggia cadere,
E ’l desiato pegno aggia in potere.
cx
Tal l’armorico re sembrava allora,
E sopra Seguran già il corso stende,
E ’l trova su ’l caval mal fermo ancora,
E da traverso e d’improviso il prende,
Sì che ’l possente Eton non ben dimora
Saldo al grand’urto e ’n terra si distende;
E pria che torne in piè, Tristan richiama
I guerrier, ch’ivi avea di maggior fama.
cxi
Che fu il re Galganese di Norgallo,
E ’l gran re Sinadosso d’Estrangorre,
E ’l re Rion, che nel paese Gallo
Fu di sommo valor fondata torre;
E ciascun già lassato il suo cavallo
Al più fido scudier, veloce corre,
E ’l miser Galealto accoglie in seno
D’atro sangue e di polve intorno pieno.
cxii
E d’ogni guerra intanto gli assicura
L’alto guerriero, e ’n voce gli conforta:
Non aggia in sì bell’opera paura,
Chi questo acuto brando ha per iscorta;
Che pria mi spegnerà la morte oscura,
Che del mio padiglion trovi la porta
Senza il buon Galealto; se non vivo,
Poi ch’ha voluto il ciel, di spirto privo.
cxiii
Che dir non possa il figlio del re Bano,
Ch’abbandonato sia pegno sì chiaro;
Ove sia stato il fido suo Tristano
Vie più di larghi onor, che d’anni avaro.
Così dicendo, al fero Segurano
Dà sopra l’elmo ancor colpo sì amaro,
Ch’ove surger credea di nuovo in piede,
Col sinistro ginocchio in terra fiede.
cxiv
Ma in questo tempo già son molto avanti
Col doloroso peso i tre gran regi,
Ch’han già più duci e cavalieri erranti
Ritrovati in cammin di nomi egregi;
E gli fan compagnia con larghi pianti,
E ricoperto l’han d’oscuri fregi;
E ’l conducono al fin con sommo onore,
Ove al campo svegliaro alto dolore.
cxv
E ’l famoso Tristan, poi che s’accorge,
Come in secura parte è Galealto,
E vede, ch’animoso omai risorge
Il fero Segurano a nuovo assalto,
E con lui nuove schiere accolte scorge,
Sì che ’n periglio vien gravoso et alto
Di rimaner ravvolto stanco e solo
Da numeroso, fresco e forte stuolo;
cxvi
Va cedendo alla forza a poco a poco,
Senza volger però già mai le spalle;
E ritirando il piè di loco in loco
Viene, ove l’Euro più stringea la valle;
Ivi securo omai si prende in gioco
Il difender da lor l’angusto calle,
Chè tra le liquid’onde e tra le schiere,
Che conducea Gaven, si può vedere.
cxvii
Va dietro Seguran con torto sguardo,
Qual lupo che ’l montone avea predato,
Che mentre schiva il can, dal leve pardo
L’ha sentito furar d’ascoso lato
Che ’l vorria racquistar, ma il passo ha tardo
Al suo veloce gir; che ’l core irato
Sfoga seguendo pur con lento corso,
Sopra i roghi e gli spini oprando il morso.
cxviii
Tal era egli in quel punto, e poi che vede,
Come ogni disegnar gli torna vano,
Il suo chiaro Brunoro e Palamede
Ritrova su ’l sentier poco lontano;
I quai tanto il pregar, ch’ei ferma il piede
Sciolto di speme omai d’aver Tristano,
Dicendo: Assai faceste in questo assalto,
Poi ch’uccideste il nobil Galealto.
cxix
Poi seguitò Brunoro: A me parrebbe,
Quantunque il sole ancor sia in alta parte,
Che ’l miglior richiamare omai sarebbe
Le genti intorno al guerreggiare sparte;
Chè più là con ragion non si devrebbe
Oggi per noi tentar l’ira di Marte,
Sendo i nostri già stanchi ed a i nemici
Quei, che sdegnati fur, tornati amici.
cxx
Voi potete veder ne i nostri danni
Del figliol del re Ban l’insegne chiare,
Senza le quali ancor non brevi affanni
Aveste il vostro campo a conservare;
Or sendo morto quel cui già tanti anni
Più che ’l cor proprio suo si vide amare,
Non debbiam noi pensar, ch’alla vendetta
Con genereoso cor tosto si metta?
cxxi
E quantunque il valor ch’io veggio in voi,
Non men punto di quello essere stimi,
Ei verrà intero e fresco ed avrà noi
Lassi e ’mpiagati negli assalti primi;
I cavalieri erranti e i sommi eroi
Di sangue alteri e di virtù sublimi
Uscir vedreste allor che sol di lui
Riconoscon l’impero e non d’altrui.
cxxii
E voi sapete ben che questo giorno
Per combattere il vallo uscimmo fuore,
Nè pensammo in campagna avere intorno
Delle schiere novelle aspro furore;
E s’e’ n’ha dato il ciel, che danno e scorno
Venne a’ nemici ed a noi largo onore,
Sappiamlo mantenere a miglior’uso,
Ove il nostro ordinar sia men confuso.