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     Scontransi insieme e ’l gran romor ne suona
Non men che quando Astrea cangia l’estate,
Che Giove irato allor fulmina e tuona,
Spaventando le menti scellerate;
E sì grave è ’l colpir, ch’al mezzo dona
L’una in ver l’altra delle squadre armate,
Che ben fu cavalier d’alto potere,
Chi vivo o ’n su ’l destrier si può tenere.
xl
     Trovò il re Galealto Licaone,
Che german fu del fero Bustarino,
Nel Norico terren nato d’Alcone,
Che l’impero reggea di quel confino;
La lancia in mezzo il cor dritta gli pone,
E ’l fa, lasso, cader sovra il cammino,
Fra la gente sì stretta, che calcato
Fu nel medesmo punto d’ogni lato.
xli
     Nè sol batte costui; che ’l colpo istesso
In fin sopra del quinto si distende;
Altao, Biante, Tarco e Trasio appresso,
Tutti nati ove l’Istro il corso prende;
Morti quei primi tre, l’ultimo oppresso
Nel petto sì che sovra l’erbe scende;
E gran ventura fu, ch’ei trovò loco,
Ove ’l popol. che vien, gli nocque poco.
xlii
     Il famoso Tristan trova Acasmeno,
Ch’all’aspra selva Ircinia era molesto,
Della qual con Drumen reggeva il freno,
E ’l boemico stuol fea nudo e mesto;
Gettalo in basso e seco in su ’l terreno
Cade, chi vien compagno infino al sesto;
Mestor, Troilo, Amfio, Ciniro, Ormede,
Ch’ove l’Albi esce fuori avean la sede.
xliii
     Nè il chiaro Seguran con men furore
Della schiera Britanna ha posti a morte
Molti buon cavalier, che largo onore
Avean della virtude e della sorte;
Alio, Pritano, Entichio ed Ipenore,
Pandaro e Lacoonte il fero e forte
Armorico guerrier, che di Tristano
Era per real sangue prossimano:
xliv
     Gli altri di Blomberisse e di Blanoro
Nati nel lito Neustrio eran parenti;
E l’un sopra dell’altro ivi fra loro
Miseramente van di vita spenti:
Nè il crudo Terrigano e Palamoro
Nell’opra marzial son pigri e lenti;
Chè quegli il franco Androgeo e Politide,
Questi Tissandro e ’l suo Timano uccide.
xlv
     Così al primo incontrar delle battaglie
Restan tanti impiagati e tanti morti,
A cui poco giovar piastre nè maglie,
Nè l’esser valorosi, arditi e forti,
Che pareano all’agosto aride paglie,
Tal sono insieme stranamente attorti,
Chè ’l villan negligente sparse a terra,
Poi che ’l frutto ch’avean, nell’arca serra.
xlvi
     Ponsi la mano al brando d’ogni lato
Per quei che servò in piè sorte o valore:
Il buon re Galealto è ratto entrato,
Ove il più stretto stuol vede e maggiore,
Che fu quel di Clodin, ch’era restato
Più inverso il fiumicello, ove il furore
Dell’assalto mortal non fu sì grave,
Sì che ’l danno minor per ancor’ave.
xlvii
     Ma s’allor la fortuna gli fu amica,
Or d’un altro color gli mostra il volto;
Chè di sangue, di duol, di morte intrica
Il possente guerriero ovunque è volto;
Non sa il miser Clodin, che faccia o dica,
Tal di nuovo timor si trova avvolto;
Chè quella esser credea l’invitta mano
Del figliuol valoroso del re Bano.
xlviii
     E se fornito è ben di sommo ardire,
E di somma virtude ha cinta l’alma,
Gli fa il vederlo allor risovvenire
Dell’avuta ne’ suoi più d’una palma;
E che male a tal uom può contra gire,
Ch’è per gli omeri suoi soverchia salma;
Il medesmo fra sè ciascun dicea,
Chè ’l provato valor riconoscea.
xlix
     E con questo pensiero, ovunque giva
Il sovran re dell’Isole lontane,
La stretta schiera al suo spronar s’apriva,
E nessun contro a lui saldo rimane;
Et egli or questo or quel seguendo arriva,
Come leprette vili ardito cane;
E quanti vuole atterra; onde sovente
Gran vergogna e pietade in cor ne sente.
l
     Uccise il nobil Glauco e ’l fer Dimone
D’un fratel di Clodasso nati insieme,
Diviso il primo infin dove l’arcione
Dell’arnese ch’avea la falda preme,
Dell’altro il capo in su l’arene pone,
Che dal busto troncato spira e geme;
Abbatte doppo questi Agrio e Molanto
Nel militare onor d’egregio vanto;
li
     Quel de i monti Cemeni avea l’impero
Già del sangue illustrissimo d’Albino;
Questo, di men ricchezze, ma più fero,
Ch’al terren comandava Limosino;
Doppo loro Acamante e ’l saggio Osero,
Che del fato ch’avvenne era indivino,
E fuggendol lontan sotto altrui soglie,
Fu ingannato da Alfea la cruda moglie:
lii
     Che quale Amfiarao fece Erifile,
Al giovin re Clodino il discovrio;
Nè in ciò la spinse aurato e bel monile,
Ma d’illecito amor caldo desio;
E così il giunse al suo più vago aprile,
Come il miser temeva, il verno rio;
E quando al cor ferito a morte venne,
Della sposa infedel gli risovvenne,