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     Mentre così parlava, gli risponde
Sorridendo la donna in tai parole:
Non della Luna i Monti o del Nil l’onde
O qual di Giove la tebana prole,
Là ’ve più ch’a noi qui tardo s’asconde
O più tosto e più bel si mostra il sole
O dove scalda più, convien cercare,
Volendovi co i merti eterno fare:
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     Perchè in questo paese e ’n questo loco,
In queste nostre parti ime e palustri
V’è dato ad esser tal, che parran gioco
Quante altre antiche furo opere illustri;
Stancheransi le penne, e verrà fioco
Per voi più d’un poeta, e gli anni e i lustri
E i secoli infiniti non potranno
Fare al gran nome vostro ingiuria o danno;
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     E crediatemi certo, ch’io non dico
Cosa che non mi sia ben manifesta:
Però che intera di Merlino antico
La divina scïenza oggi mi resta;
Che nel tempo ch’ei fu mio caro amico
Udì cortese la preghiera onesta
Ch’io gli fei di chiarirmi l’arti oscure
Di preveder le cose a noi future.
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     E pria che ciò avenisse, gli avea detto
Ch’io d’aver un figliuol bramava molto,
Ma che sopra il mortal fosse perfetto,
Di virtù colmo e d’ogni vizio sciolto,
Che si chiamasse il cavaliero eletto
Ove il Cielo ogni bene avesse accolto.
Femmi risposta: - Donna, a non mentire,
Di voi non debbe prole rïuscire.
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     Ma vi apprenderò il modo onde potrete
Averne un che fia tal, ch’appunto nacque
Il passato anno: a cui le stelle liete
Prometton quanto onore in uom mai giacque;
In tal modo, in tal tempo il troverete -;
E mi fè ben vedere il luogo e l’acque
Là ’v’io v’accolsi, e l’incantato lago
In cui soletta d’abitar m’appago.
xcvi
     Nè mancò tutto quel di farmi poi,
Che v’è avvenuto e vi avverrebbe, chiaro,
Affermando: - Ei sarà mai sempre a voi
Come del ventre stesso amato e caro,
E de’ pregi divin, de i merti suoi
Fia ’l vostro cor più che di vita avaro -.
Così dicea sovente, e non trovai
Che d’un momento sol fallisse mai.
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     Desïando esso poi di sposa averme,
Non mi piacque accordarmi alle sue voglie,
Che poi ch’uscir di me non devea germe
Volli sola restar fra le mie soglie;
Ma perchè di me semplice ed inerme
Non riportasse al fin vittoria e spoglie
Uom ch’era armato d’immortal sapere,
Mi convenne al mio stato provvedere;
xcviii
     E ’n questo convenente gli promessi
Ch’ei mi facesse un loco fabbricare
Il qual serrato eternemente stessi,
Nè forza o ingegno vi potesse oprare:
Ma che ’l modo d’aprirlo io sola avessi,
Lontana o presso ch’io ’l bramassi fare,
Perch’aveva un nemico ch’io temea
Che non mi conducesse a morte rea;
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     E ch’ancor mi mostrasse il modo e l’arte
D’antiveder, qual ei, ciò ch’esser deve:
Che s’io mi ritrovassi in qualche parte
Senza l’aita sua, mi fosse leve
Per la virtù di sue celesti carte
Esaminar mia sorte o lieta o greve,
Schivando accorta ogni mortale inganno
Che mi potesse far vergogna o danno.
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     Amore oprando in lui sì come suole
Mai sempre usare in ogni suo seguace,
Fè che Merlino, il qual sapea del sole
Tutti i segreti e d’ogni errante face,
Non conobbe esser false le parole:
Ma stimando il mio dir certo e verace
Fabbricò il loco, e diemmi la dottrina
Per cui si scorge la virtù divina;
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     Onde agevol mi fu quasi in quell’ora,
Mostrando far di quello albergo pruova,
Di serrarl’ ivi, dove ancor dimora,
E ’n cui l’alto saver nulla gli giova:
E di trarl’ indi mi ritiene ancora
L’antica ingiuria e la temenza nuova,
Chè ’l Ciel mi mostra che s’ei fosse sciolto
Mi saria con la vita ogni ben tolto.
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     Vedeva ancor che ’l gran valor di voi
Devea nel tempo mortalmente odïare,
Non sperand’ei giamai ch’alcun de’ suoi
Potesse a pari altezza sormontare:
Nè pensava io possenti ambedue noi
D’alla sua gran dottrina contrastare,
Chè la spada non val contr’a quell’arte,
Ed io so molto men che le sue carte.
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     Così merta perdon la rotta fede
E ’l mio duro voler che sembra ingrato:
Chè l’altrui mal, che per suo ben procede,
Sovente ha tra’ miglior perdon trovato.
Or per tornare a voi, d’onore erede
V’ha fatto il Ciel, che sempre sia lodato:
E ciò fia in questo loco, in questa terra,
In questo tempo istesso, in questa guerra.
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     Pregovi or dunque, o mio famoso figlio,
Che senza altro pensar qui vi restiate,
E che nel mio materno util consiglio
(qual conviensi a ragion) speranza aggiate:
Che vedrete in tal pena e ’n tal periglio
Le genti altere che vi furo ingrate,
E ’n così sanguinoso e largo strazio,
Che vi farà pietoso, non che sazio.