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lxvii
Con tal ordin s’invia ratto alla torre,
Che con sommo valor si difendea;
Qui il famoso Baven, lì Nestor corre,
Ove il mestier maggior si conoscea;
E quanti può ciascuno in man raccorre,
Ch’al bisogno infiniti ve n’avea,
Sassi, tronchi, terreno, arbori e travi,
Tanti ne gettan giù nodosi e gravi.
lxviii
E cadean di lassù sì spesse e folte,
Come al verno maggior la neve suole,
Se Giove i monti e la campagne sciolte,
Gli arbori, i campi e i prati asconder vuole;
Chè i venti acqueta ed ha le nubi accolte
Più fredde in basso e più nemiche al sole;
E ’l viator tremando a poco a poco
D’un medesmo color vede ogni loco.
lxix
Cotyale ivi apparia l’aspra tempesta,
Che da quei difensori in basso scende,
E ’l piede, il petto, gli omeri e la testa
A questo a quello amaramente offende;
Nè il gran popol d’Avarco in posa resta,
Che l’arme ivi cadute in man riprende,
E col furore in alto la rigetta,
Che fa il percosso in ricercar vendetta.
lxx
Ma quei, che più lontan dal fosso stanno,
Con varie aste leggieri e frombe ed archi
Fanno a quei della torre estremo danno,
E nel mostrarse fuor rendon più parchi;
Or quinci e quindi parimente vanno
D’entrambi i colpi ne i medesmi varchi;
E ’l montare a ’l calare insieme aggiunto
Si puote ivi veder quasi in un punto.
lxxi
Sembrano al rimirargli estiva pioggia,
Quando subita appar nel mezzogiorno,
Che ’l Noto all’Aquilon contrario poggia,
E quanto in mezzo sta girano intorno;
Ch’or saglie or cade in disusata foggia
L’onda e più volte cangia il suo ritorno,
E le piante impiagando or alte or basse
Fa di frutti e di frondi ignude e casse.
lxxii
E vie meno è ’l romor su gli alti tetti
Della più dura grandine all’agosto,
Cagion che ’ndarno il villanello aspetti
Il soave liquor del nuovo mosto,
Di quel, che ’n su gli scudi e ’n su gli elmetti
Risuona intorno, mentre in terra è posto
Questo e quel cavalier morto o ferito
Sì ch’al più guerreggiar resta impedito.
lxxiii
E ’l saggio Lionel di parte ascosa
Ha molti buon guerrier di vita privi;
Tra quei Nolanto, che nell’aria ombrosa
Nacque, ove al mezzo april gielano i rivi,
Dentro all’Ebrida Cumbra, e sanguinosa
Gli fè la destra orecchia e morto quivi
Tra le braccia di Schedio suo cognato,
In non molto per lui securo lato;
lxxiv
Perchè mentre il meschin per altrui piange,
E ’l vuole indi portar, vien nuovo strale,
E ’l percuote alla fronte e tutto frange
L’osso, che in alto fra le ciglia sale,
Sì ch’anch’ei muore; e ’l nobile Florange,
Che per lassuso andar guida le scale,
Fu percosso alla gola, e ’n quello istesso
Loco alla coppia prima cade appresso.
lxxv
Uccise doppo lor Fere e Talmone,
Ambedue Frisi e cavalier d’onore;
A questo il ferro entro alla gola pone,
A quel nel seggio del sanguigno umore,
Ma non per ciò la fera opinione
Cangiarsi può nell’ostinato core
Del crudo Palamede, che si caccia
Più sempre adentro e rovinar minaccia.
lxxvi
Egli aveva in tal guisa al basso piede
Della torre già fral la terra scossa,
Chè poco tempo omai seco s’avvede,
Ch’al gran peso che porta regger possa;
Ond’ei s’allarga alquanto e poi provvede,
Che d’altre parti intorno sia commossa
Da lunghi legni e duri; e non s’inganna,
Chè per lei rovinar poco s’affanna;
lxxvii
Che per breve crollar, qual’era integra,
Senza ritegno aver, giù in basso cade,
Con l’alto rimbombar ch’udiro a Flegra
Le cenerose e fumide contrade;
Vien tenebroso il ciel d’oscura e negra
Polve, ch’al rimirar chiudea le strade,
Sì che molto passò, pria che ’l vedere
Potesse il primo stato riavere.
lxxviii
E col suo rovinar condusse molti,
Che ciò non attendeano, al cader fuora,
Di quei d’Arturo, che restar sepolti
Tra legni e travi alla medesim’ora;
Altri son morti ivi entro, altri disciolti
Di quei che Marte tra i migliori onora;
Come Nestor di Gave e Taulasso,
Che sì tosto s’alzar, che furo in basso:
lxxix
Chè ancor tengon la spada, e senza tema,
L’uno e l’altro ripien d’oscura terra,
Pria che ’l popol congiunto troppo prema,
Accoppiati fra lor s’armano a guerra;
Spingonsi avanti e già di vita scema
Parte di quelli han fatta, che gli serra,
E dimostrando poi gli altri seguire,
Colser tempo securo al suo fuggire:
lxxx
E col veloce andar, che levi pardi,
Che di molti leon fuggano il morso,
Ove a gli argin vicini i suoi stendardi
Pon spiegati veder, drizzano il corso;
Palamede e Brunoro giunser tardi,
Chè ’l nobil paro, qual baleno, ha scorso
Il fosso, ove trovando intero aiuto,
Dentro al prossimo vallo era venuto.