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liii
     Uccidendo oltr’a quegli altri infiniti,
Ma di nome vulgar, si fa il cammino;
Ma poi ch’è presso e sopra i tristi liti
Scorge il misero amico tal vicino,
E tanti intorno afflitti e sbigottiti,
Ch’han perduto chi ’l frate e chi ’l cugino,
Cotal doglia e furor l’alma gl’incende,
Che d’indietro tornar consiglio prende.
liv
     E qual tigre d’Ircania che ritrove
Da ’nsidiosi villani uccisi i figli;
Che rabbiosa fra lor battaglia muove,
In cui ’l morso stendendo, in cui gli artigli;
Onde il sangue di fuor sì largo piove,
Che i verdeggianti campi fa vermigli;
Nè si mostra ella sazia, in fin che manche
La turba intorno o che le forze ha stanche.
lv
     Tal l’Armorico duce indietro volto,
Poi ch’a inteso per ver che Segurano
Tornato è fuora e ’l lui seguior gli è tolto,
Spiega sopra costor l’ira e la mano;
E tanto miete omai del popol molto,
Ch’ei n’ha coperto il sanguinoso piano:
Poi ch’ogni gente è già fuggita o morta,
Ricerca al fin la mal lassata porta.
lvi
     La qual, come pria fu, tosto riserra
Che ’l consiglio dell’Orcado fu tale,
Dicendo: In molti lochi aviam la guerra,
E largissimo stuolo il tutto assale;
E veramente l’uom vaneggia ed erra
In sì torbidi tempi a cui più cale
Di falsa gloria che di star sicuro,
Poi che ’l ciel così vuol, tra fosso o muro.
lvii
     E no ’l diceva in van, chè Palamede
Col forte Dinadano e Brunadasso
Di montar dalla destra alto provvede,
E già non lunge al vallo aveva il passo,
Mentre il popol ch’è lì, tentando al piede
Con zappe e con marron l’argine in basso,
Cercan d’apparecchiar sì larga strada,
Che la grave armatura indi entro vada.
lviii
     Nè dall’istessa man Brunoro il Nero,
Col Provenzal Margondo e Gracedono,
Al procacciar anch’ei nuovo sentiero
Più di quei neghittosi o lenti sono;
Ma chi sopra i guerrieri usa l’impero,
Chè nessun lasse l’opra in abbandono;
E chi al popol maggior va sprone e scorta,
Che dal frondoso bosco i rami apporta:
lix
     E ne riempie il fosso sì che agguaglie
Quanto si può vicin l’altezze estreme;
Ma il franco Lionello aspre battaglie
Fa intorno ad essi e gli rispinge e preme;
Chè ’l possente arco suo le salde maglie,
E gli acciari e gli scudi passa insieme,
In sì veloce andar ch’ad ora ad ora
Quel ferito e quel morto è tratto fuora.
lx
     Egli era entro la torre che fiancheggia,
Fin dov’era Tristano, il manco lato;
E d’indi ascoso, ove nessuno il veggia,
Chi ferito riman chi spaventato;
Onde sforza il nemico, chè provveggia
In nuova altra maniera o ceda al fato
D’indietro ritornar, ma ciò non vuole
Palamede ostinato, come suole.
lxi
     Ma lassando tutt’altro si congiunge
Con Brunoro e co’ suoi, ch’avea vicino;
E con doppiato stuol veloce giunge
Dell’aspra torre al prossimo confino;
E col desio d’onor, che ’l cor gli punge,
Grida altamente intorno: Il mio destino
Pria mi furi la vita, che mi toglia
Il prender’ o spianar l’altera soglia.
lxii
     Poi conforta i guerrier dicendo: Un’ora,
E non molta fatica trar vi puote
Di lungo affanno e di periglio fuora,
Se l’alme avrete di temenza vòte;
In questo punto sol tutto dimora
Il largo onor che le celesti rote
V’han promesso, e ’l guadagno; e ’n voi sol giace
D’acquistar sommo bene e lunga pace.
lxiii
     Così detto, il primiero in basso scende,
Nè gli resta Brunor molto lontano,
E lì medesmo il ratto passo stende
Safaro, Gallinante e Dinadano,
Poi tutti gli altri appresso e ciascun prende
Ferro o pesante legno, e non invano;
Che in guisa fan tremar di quella il seno,
Che se ne crolla intorno anche il terreno.
lxiv
     Sì come avviene, ove Nettunno imprima
Speco aspro e cavo, ch’al suo gir s’oppone,
Che de i monti crollar l’altera cima
Fa tutta intorno e l’altra regione;
Ora il buon Lionel, che seco estima,
Che d’aita appellare aggia cagione,
Con sì pochi guerrieri essendo solo,
Contra sì chiari duci e tanto stuolo;
lxv
     Il fido messaggier Toote chiama,
Parlando: Or ricercate a ratto corso
Il buon Tristano e ditegli, s’egli ama
Il comune alto onor, mi dia soccorso,
Che fuor che Seguran, qual altro ha fama
Tra i miglior cavalieri è quinci accorso;
E per torne di qua studiano il passo
Palamede, Brunoro e Brunadasso.
lxvi
     Non ritarda Toote e ’nmantenente
Trova Tristan, che come udito l’ave,
Dice al suo Blomberisse: La mia gente
Conosch’io ben che dell’Iberno pave;
Però vi prego aver l’occhio e la mente
Che non le avvegna caso ontoso o grave,
E se ’l bisogno fia, fate chiamarme
Da chi con Lionel potrà trovarme.