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CANTO XIX

ARGOMENTO

      Assalta il campo avverso Segurano;
Rompe una porta, e fa stragi inudite;
Ma al soccorso de’ suoi move Tristano:
Arde la pugna; scendon molti a Dite.
Poi che il sol si nascose in Oceàno
Fin mette l’ombra alla funesta lite.
Galcalto domanda in tal periglio
L’armi fatali del re Bano al figlio.

i
Ciascun duce d’Avarco l’ampie schiere,
Che al sommo impero suo commesse foro,
Va intorno visitando e ’n voci altere
Quel che deggiano oprar dimostra loro;
Ma sovra ogn’altro poi si può vedere
Mostrando il dragon nero in campo d’oro
Il fero Seguran; che tutti insieme
Pien d’ardente furor sospinge e preme.
ii
     E dice: Or questo e’ il tempo in cui mostrarse
Convien l’alta virtù che ’n core avemo,
E quel chiaro splendor, che largo apparse
Del Britannico onor, rendere scemo;
Che le glorie di lor per tutto sparse,
E per sì lungo tempo, acquisteremo
In questa valle sola e ’n questo giorno,
Pria ch’all’occaso il sol faccia ritorno.
iii
     Ricordatevi pur che ’l ciel ne mostra,
Se calcar la saprem, la strada breve
Di fine imporre alla infinita nostra
Già sofferta fatica e sudor greve;
E che dentro a quei fossi omai la vostra
Pace e riposo ritrovar si deve,
E con lode immortal larga ricchezza,
E tutto il sommo ben che ’l mondo apprezza.
iv
     Or non sapete voi ch’ivi entro stanno
Di mille alme cittadi i tesori ampi?
Ch’oltra il mare e di qua dispogliati hanno
I più fertili, aprici e lieti campi;
Che dall’unghie rapaci del Britanno
Non e’ tempio onorato che ne scampi;
Ma delle prede antiche e falli suoi,
Eredi e punitor sarete voi.
v
     Accingetevi pur con core ardito,
Qual più conviene a sì onorata impresa,
Contra un popol già lasso e sbigottito,
Che larghi argini e valli ha per difesa,
Di cui l’imperador giace ferito,
Boorte e molti che v’han fatto offesa;
Nè resta altri fra lor, che ’l nome vano
Dell’Armorico giovine Tristano.
vi
     A cui prometto io sol tal freno imporre,
Ch’a gli altri cavalier nocerà poco;
Nè ’l salverà da me fondata torre,
Nè riparo miglior di chiuso loco;
Ch’ogni suo schermo, ogni sua forza torre
Spero al primo apparir con ferro e foco,
E render tosto il tutto eguale e piano
Sì, che ’l difenda sol l’arme e la mano.
vii
     Già tacendo il gran duce, a lento piede,
Ch’essi seguan pregando, il passo muove
Verso la porta, alla cui guardia siede
Il buon Tristan, che no ’l vorrebbe altrove;
Come poi più vicino esser si vede,
Empiendo l’aria e ’l ciel di varie e nuove
Barbare voci e di suono aspro ed alto,
Velocissimo il gir drizza all’assalto.
viii
     Nè impedimento alcun d’argine o fossa
Gli contende il sentier, ch’ei non s’avvente
Oltr’ogni spazio e con l’estrema possa
Di passar’oltra sol non s’argomente;
Prende essa porta e mille volte scossa
L’ha in guisa tal, che ’l popol ne spavente;
Dietro a lui son l’insegne, che ’l cammino
Van mostrando al lontan, come al vicino.
ix
     Vien l’altra gente poi calcata e stretta,
Con gli scudi fra lor serrati in guisa,
Che pria che penetrargli, ogni saetta
Del più pregiato arcier saria ricisa;
Van di par sempre e ben l’un l’altro aspetta
Sì, che dal vario andar non sia divisa
L’annodata ch’avean secura forma,
Stampando unitamente l’istess’orma.
x
     Scendon nel fosso; e quel ch’è indietro aita
Quanto può quel dinanzi alto salire,
Ove dal vallo e l’argine impedita
La via ritrova al chiaro suo desire;
Spingonsi insieme e con bei detti invita
L’un l’altro all’opra di mostrare ardire;
E tentando in fra lor novelle forme,
Vanno ora insieme, or’han diverse l’orme.