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liii
     Così novellamente in forza torna
Il famoso stendardo a i gran nemici.
Qui dell’antico orgoglio alza le corna
E l’arme Iberne sacre e vincitrici
Seguran chiama, e di tal spoglia adorna
La man crollando ne’ suoi liti amici
Della Val Bruna la impromette a Marte
Con altre palme assai quivi entro sparte.
liv
     Ma allor che più si gloria alteramente
E ch’a i Britanni ancor minacce aggiunge,
Ecco il fido Boorte, che già sente
De’ suoi l’angoscie e furiando giunge;
E di colpo al traverso sì possente
Il braccio al predator percote e punge
Che gli fece cader, ch’ad altro bada,
L’acquistato trofeo sopra la strada;
lv
     Al quale il buon Toscan, che già risorge
Dal tenebroso duol, vedendol presso,
Quanto più tosto può la man riporge
E già spera scampar portandon’esso:
Quando vien da traverso, ove non scorge,
Chi l’ha più ch’ancor mai di nuovo oppresso,
Chè Rossano il Selvaggio il ripercuote
Sì che più rilevarsi allor non puote.
lvi
     E l’avrebbe anco ucciso, se non fora
Che ’l famoso Boorte, che ciò vede,
Giunse al soccorso alla medesim’ora,
E ’l Selvaggio crudel su l’elmo fiede:
Sì che in sella, qual fu, poco dimora,
Che come il buon Toscan si trova a piede;
Ma ben tosto si drizza, e ’l braccio stende,
E ’l vessillo ch’egli ha nel mezzo prende,
lvii
     Dicendo: Somme grazie alla mia sorte
Rendo, ch’or così a piè m’aggia sospinto,
Et alla spada ascosa di Boorte
Che m’ha, nol vedend’io, battuto e vinto:
Ch’or mi trov’io più commodo e più forte
Contra il Toscano, et al guadagno accinto
Dell’onorato pregio, ch’a cavallo
Era impresa impossibile acquistallo.
lviii
     E ’n questo ragionar con forza il tira
Il fer Pannonio, nè il Toscano il lassa:
E ’n tal modo ciascuno ad esso aspira
Che la spada riman pendente e bassa.
Sol con urtarse insieme ardente d’ira
L’uno e l’altro di lor le membra allassa,
E col piede offendendosi tal volta
Par la guerra fra loro in lotta volta.
lix
     Gira intorno Boorte il suo destriero
E si duol che giovar non può al Toscano,
Che di due fatto essendo un corpo intero
L’un senza offender l’altro aiuta in vano.
Ma intanto il gran Norgallo cavaliero
Che Seguran teneva indi lontano
Fu percosso talmente al destro braccio
Che gli diè per alqunto acerbo impaccio.
lx
     Così libero allor l’altero Iberno
Contra il chiaro Boorte il corso move,
Qual tempestoso noto a mezzo il verno
Il giorno suol, che poi la notte piove;
E contra il buon Norgallo d’alto scherno
Parole usando, ch’ha battuto altrove,
Il percote al traverso in guisa tale
Che ’n piedi il suo destrier restar non vale,
lxi
     Che insieme col signor si trova a terra,
E ’l sinistro suo lato sotto preme.
Ma tosto dall’incarco si disserra
Di Gave il buon guerriero, e nulla teme;
E ’n verso Seguran si stringe a guerra
E di vincerlo ancor nodrisce speme,
E ’l ginocchio or trovando ed or la coscia,
Gli dà spesso cagion di nuova angoscia.
lxii
     Ma il forte Seguran, che d’alto fere
E ’l può in lochi impiagar troppo mortali,
Sovra il lito sovente il fa cadere:
Ma più tosto rivien che s’avesse ali;
Pur gli manca il vigor, cessa il potere
E gli spirti già son debili e frali,
Sì che non molto ancor gito saria
Che morto o prigionier, lasso, venia;
lxiii
     Perch’oltra Segurano, il Ner Perduto
Et Arvino il fellon gli fan battaglia,
E Clodin già volando era venuto,
E nessuno è di lor che non l’assaglia:
E l’antica difesa e ’l saldo aiuto
Ch’avere intorno suol di piastra e maglia
Era mancato assai, perchè ’l terreno
In più luoghi n’avea coperto il seno.
lxiv
     Ma Terrigano il grande e Gracedono,
Galindo e Marabon della Riviera
Tutti al miser Toscano intorno sono,
E tolta gli han la candida bandiera,
E lui quasi di vita in abbandono
Avea lassato la crudele schiera;
E Rossano il Selvaggio iva superbo
Dell’alta spoglia e del suo danno acerbo.
lxv
     Resta il Norgallo ancor sopra il destriero,
Ma per tutto impiagato in cotal guisa
Che dal più basso piè sovra il cimiero
Ogni armadura avea da sè divisa.
Pur quanto può col buon volere intero
Che dall’avversa man non sia conquisa
Quella insegna real, nè il suo Toscano
Resti oppresso con quella, opra la mano;
lxvi
     Ma niente era o poca, ogni sua aita,
Chè in grado venne al fine esso e Boorte
Che nullo han quasi più spirito e vita,
Perch’ambo al dipartir cercan le porte.
Ma non essendo ancor tutta compita
In lor dal ciel la destinata sorte,
Con più veloce gir che strale o vento
Ricondusse Tristano in un momento;