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xi
Nè mi duol del mio mal, nè mi dorrei
D’esser per via cotal venuto a morte,
Ma che per mia cagione i duci miei
Sien, lassi, indotti a perigliosa sorte;
E volentier mia sorte cangerei
Col famoso Tristan, col pio Boorte,
Che per la mia salute in tale stato
Lassai ch’io sarò sempre sconsolato.
xii
E però prego voi, duce famoso,
Che con quanti qui sono e fieno altrove
Di trar quei due del loco periglioso
Facciate per mio amore ultime prove:
E ’l candido stendardo, or sanguinoso,
Che ’l buon re Caradosso al vento muove
Non resti de’ nemici a lungo scherno
E del pubblico onor naufragio eterno.
xiii
Così disse il Britanno, e con gran pena,
Perchè ’l sangue perduto e l’alta doglia
D’ardir non già, ma ben di spirto e lena
E del primo vogor le membra spoglia.
Risponde il re dell’Orcadi: Serena
Resti in voi col sperar ciascuna voglia,
Ch’io ben v’obbidirò qual più si deve,
E bramate novelle avrete in breve.
xiv
Tal parlando si parte, e con lui vanno
Il cavalier Toscano e ’l buon Norgallo;
Meliasso e Mador l’istesso fanno,
E di tutti ciascun cangia cavallo,
Ch’al fero battagliar sì acerbo danno
Soffrir che perdonar si puote il fallo
Ch’ei fero a i lor signor, ch’un sol non v’era
Ch’aggia a crollare il piè la forza intera.
xv
Così spronando insieme, molta gente
Trovan dietro tornar che ’l campo lassa
Per la fama del re trista e dolente,
Di timor colma e di speranza cassa;
Ma il saggio re dell’Orcadi altamente
Va ciascun confortando ovunque passa:
Più che mai vivo fosse è il grande Arturo,
E di mortal periglio omai securo.
xvi
Ritorniam, cari figli, alla battaglia;
Ch’ora è il tempo migliore in cui si mostre
Che con ragione al ciel volando saglia
Il grido illustre delle glorie vostre,
E che senta il gran re che non si smaglia
Il tenace valor dell’armi nostre
Per breve colpo, e sopra lor non puote
La nemica fortuna o le sue ròte.
xvii
In tai voci va innanzi, e ’ncontra molti
Che d’indietro tornare hanno cagione,
Ch’han le membra impiagate e stanno avvolti
Di sanguinose righe su l’arcione.
Questi tutti consola, e gli ha rivolti
Co’ suoi ministri al proprio padiglione,
Il qual largo abbondava d’ogni aita
Che convegna a curar piaga e ferita;
xviii
E ’n fra gli altri Abondano e Brallen trova
Che dal fero incontrar fur posti a piede:
Dà lor fresco corsiero e lancia nuova,
E d’ogni arme perduta riprovvede.
Col dir da poi che in tal miserie giova
Già s’avvicina dolce Palamede,
Segurano e Tristan sono e Boorte
In perigliosa ancora e dubbia sorte;
xix
E ritruova in quel punto ch’a Tristano
Il possente caval con l’empio strale
Estero ucciso avea, l’empio Germano,
Sì che d’indi ritrarse arte non vale:
Ma mentre tiene il grave scudo in mano
Dell’offese d’ogni uom poco gli cale,
Perchè con quello ogn’impeto sostiene
E d’arme e di corsier che ’ncontra viene.
xx
Par nell’alpi nevose orso selvaggio
Tra cani e cacciator serrato e cinto
Dritto appoggiato al più robusto faggio,
Con denti ed unghie alla difesa accinto,
Ch’or quel mastin che lascia il suo vantaggio
Or l’ardito villano a morte ha spinto,
E ch’or quel ferro aguto ed or quell’asta
Con le setose braccia or tronca or guasta.
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Tale il chiaro Tristano or quello ancide,
Or, ch’aggiunger non può, del destrier priva:
Tal che più non si truova chi s’affide
Di presso andar quanto la spada arriva,
Ma con sassi e con dardi gli conquide
Del dorato leon l’imagin viva
Con quello alto romor che ’ntorno suona
Qual or grandine folta i tetti intuona;
xxii
E ’l pensan di stancar; che potea forse,
Ma con lunga stagion, loro avvenire:
E ’l scampò, che l’Iberno i suoi soccorse
E passò il suo disegno al rivenire.
Già co i buon cavalier l’Orcado accorse
Gridando: Or dee temer di mai perire
Il mio chiaro Tristan mentre il suo Lago
Non ha varcato ancor di Stige il lago?
xxiii
Così detto oltra passa, e col drappello
Quanti intorno a lui son per terra stende:
Questo cade impiagato e morto quello
E d’un colpo medesmo molti offende;
E ’n breve adopra che lo stuol rubello
Ch’era pria vincitor vinto si rende,
E del cacciare altrui la primiera arte
Or in tosto fuggir tutta diparte.
xxiv
Non gli segue il re Lago e ’ndietro riede,
E destrier nobilissimo appresenta
Al buon Tristan, che di famose prede
Ebbe dove l’Alliera Era diventa
Al tempo che d’Albin l’ultimo erede
E l’Alvenica prole rendè spenta
Già il terz’anno davanti, e chiuse il passo
Al soccorso maggior del re Clodasso.