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cvii
     E con forza cotal ciascuno spinge
Il feroce corsier, che Palamede
Non può più innanzi andar, ma si ristringe
Co’ suoi, che accinti al gran bisogno vede,
Ch’ogni buon cavalier già si dipinge
La palma in cor di mille ornate prede,
Da poi che scorgon sol l’alto Britanno
Da’ suoi duci miglior che lunge stanno.
cviii
     Ivi è già il Fortunato e Bronadasso,
Safaro, Dinadano e Bustarino,
Il possente Argillone e Matanasso,
Che fu già di Durenza aspro vicino.
Or poi ch’ha con costor raggiunto il passo
Il fero re dell’Ebridi, il cammino
Riprende contra Arturo e ’l nuovo corno
Che gli ha fatta muraglia e vallo intorno;
cix
     Di toro in guisa che nel pasco erboso
D’amor sospinto col rivale è in guerra,
Che ’ndietro torna a render più spazioso
Campo allo scontro, e ’l corso poi disserra
Sì ratto e fermo, che vittorioso
Sè vede, e l’avversario essere a terra,
Che giovinetto ancora o manco saggio
Non prese al suo ferir pari il vantaggio.
cx
     Urta il forte drappel con tanta forza
Che ’l poteo sostener quell’altro a pena.
Pur la chiara virtù, che ’l corpo sforza,
Prestò in quel punto lor vigore e lena;
Ma il caval di Brallen, la pioggia e l’orza
Alternando più volte, in su l’arena
Cadde su ’l ventre al fine, e ’l suo signore
Tosto del fascio rio si mise fuore.
cxi
     Fè il medesmo Abondan, che ’l suo destriero
All’apparir di quei si leva in alto
Per oprar morso e piè, tal che leggiero
Fu a Dinadan di porlo su lo smalto.
Drizzosse anch’ei, ma più sicuro e fero
Che libico leone in quell’assalto
Fu il re, poi ch’al ferir di Palamede
Con disvantaggio tal cinto si vede.
cxii
     Ma potea mal durar, chè stretti insieme
Son lassando tutti altri a lui d’intorno,
Ripensando fra lor che ’l frutto e ’l seme
Di tutto il guerreggiare avea quel giorno
Chi d’un tal re, cui tutto il mondo teme,
Andar potea della vittoria adorno;
E Safar, Bustarino e ’l Fortunato
L’han col lor Palamede circondato.
cxiii
     Florio e Bralleno e ’l cavalier Norgallo
Stan, quai ferme colonne, alla difesa:
Quello sprona al traverso il suo cavallo,
Ove più pensa a quei far grave offesa,
Quest’altro al dritto, e nessun fere in fallo,
Che quanto venga d’alto e quanto pesa
La spada di ciascun posson sentire,
Ma disposto hanno in cor tutto soffrire.
cxiv
     Non altrimenti fan ch’affamato orso
Che ’l soave tesor dell’api trove,
Ch’indi a farlo ritrar non val soccorso
Di robusto villan che l’asta muove
Nè dell’ago di lor l’aguto morso,
Nè di crudo mastin ferite nuove:
Ma schernendo ogni offesa, e d’ogni parte,
Mentre che dura il mèle indi non parte.
cxv
     Simil fan questi quattro, ch’all’estremo
Quasi han condotto il misero Britanno,
Ch’era di spirto omai sì frale e scemo,
Che poco era lontan l’ultimo affanno.
Ma il famoso Boorte a vela e remo,
Ch’avea sentito il gran pubblico danno,
All’ultimo bisogno apparito era,
Quando il giorno miglior giungeva a sera.
cxvi
     Quale al miser nocchier, ch’a notte oscura,
Poi che rotte ha dal mar sarte e governo
E l’antenna spezzata o mal sicura
Sopr’ arbor frale al tempestoso verno,
Ch’ovunque ei guarda omai, di morte dura
Vede l’imago e del tartareo inferno,
Ch’ogni dolce in un punto gli riduce
Il pio splendor di Castore e Polluce;
cxvii
     Tal fu al misero Arturo, che si scorge
Fra tanti e tai guerrier con poca spene,
Com’ei sente il romor che in alto sorge
Del pio Boorte ch’al soccorso viene.
Ogni perduta forza in lui risorge,
E s’apparecchia a dar dovute pene
A chi ’l tratta sì male, e ’n questa sente
Già Boorte arrivar tra quella gente;
cxviii
     Che, quai levi cervier ch’aggian trovato
Da boschereccio arcier ferita dama,
Che l’han raggiunta, e l’uno all’altro lato
Il passato digiun sovr’essa sbrama,
Ch’ivi il fero leon sovra arrivato
Veggion vicin, come la voglia il chiama,
Ch’a lui lassan la preda, e si rimbosca
Ciascuno ov’è la via più ascosa e fosca;
cxix
     Così fer questi: e trova Bustarino
E ’n fronte il fere tal, che non più vale
A sostenerse in piè, che su ’l cammino
Andò volando a troncon rotto eguale.
Safaro e ’l Fortunato a lui vicino
Col medesmo furore appresso assale:
Non abbatte già quei, ma concia in modo
Ch’al famoso suo re squarciato ha il nodo.
cxx
     E ’l truova che la spada gli è caduta,
Ma sospesa la tien la sua catena:
Nel destro braccio avea breve feruta
Tra ’l gomito e la man presso alla vena
Che dal capo s’appella, al quale aiuta,
E può nuocere ancor soverchio piena.
L’elmo avea bene intero, ma la testa
Intonata de’ colpi e debil resta.