Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/149

lxxix
     E lassa il valoroso Bustarino
Ch’ivi in vece di lui meni le schiere
E segua Seguran, ch’era vicino
Tra’ suoi tornato, e già sospinge e fere
Contra il prode Tristan ch’al suo cammino
Quanto può dritto andar si può vedere.
Or giunto il re dell’Ebridi, Boorte
Truova che spinge gli Aquitani a morte;
lxxx
     Ma perchè ha in man la lancia, e ’l pungev’onta
Sopra tal cavaliero usar vantaggio,
Del popolo infelice abbatte e smonta
Quanti altri incontra col nodoso faggio.
Sopra il nono è fiaccato, e si raffronta
Allor col brando al nobile paraggio,
E chiamamdo altamente il re di Gave
Il vede a lui venir, chè nulla pave;
lxxxi
     E chi sia gliel discuopre il nero e bianco
Scudo ch’ei porta, e le gemelle spade
Che sol d’ogni guerrier si cinge al fianco
Mostrando ch’a più d’un guerra gli aggrade
E vergogna gli fora il venir manco
A qual coppia miglior che ’ncontra vade.
Fassi lieto Boorte, e ’n cor si gode
Di provar cavalier di tanta lode.
lxxxii
     Quanto può questo e quel contra sì sprona
Quasi un veloce stral che l’altro assaglia:
Nè ’l caldo Mongibel sì forte tuona
Come il percuoter loro alla battaglia.
Sotto, sopra, da i lati e ’ntorno suona
Ogni scudo in un tempo et ogni maglia,
E chi i colpi ch’ei fan contar volesse
Potrebbe anco contar le stelle istesse.
lxxxiii
     Perch’assai meno spessa dal ciel cade
Neve al gelato dì, grandin l’estate,
Che si scernon di lor le gravi spade
Or in basso cadute, or rilevate:
E nessuna ivi appar che ’ndarno vade,
Tante arme intorno già sono squarciate.
E perchè l’uno e l’altro cavaliero
Fu più d’altro ancor mai snello e leggiero,
lxxxiv
     Pare ogni brando lor la lingua acuta
Di serpe annosa che sen forba al sole,
Che ’n tal prestezza la rivolge e muta
Che sembrar triforcata al guardo suole.
Tal s’ingannò di molti la veduta
All’assalto mortal, che creder vuole,
Scernendole alte e basse all’istess’ora,
Che tre spade ciascuno oprasse allora.
lxxxv
     Ma come a Segurano, a Palamede
Pur il medesmo, e per la calca, avvenne,
Ch’alla lite ciascun forzato cede
Al gran seguace stuol che sovra venne.
E così questo e quel rivolge il piede
Sopra il misero vulgo, e cammin tenne
Sì diverso in tra sè, che non poteo
Il desir disfogar che ’n core aveo.
lxxxvi
     Intanto Maligante, a cui la mano,
Raffreddata la piaga, il duolo accresce,
Fu dal pio Arturo scorto di lontano,
E per lui ritrovar della schiera esce.
E ’nteso il caso, al dotto Pellicano
Et a Serbin promesse e preghi mesce,
Raccomandando molto alla lor arte
Perchè in esso è di lui la miglior parte.
lxxxvii
     Poi pensando in suo cor che ’l destro corno
De’ suoi levi cavai sia senza duce
Perchè Boorte far devea ritorno
Ove il periglio manco il riconduce,
Gire al soccorso lor con quelli intorno
Ch’a regi e cavalier l’animo induce,
E col romor che fa l’arme di Giove
In ver la dritta parte il corso muove,
lxxxviii
     E col furor medesimo percuote
Nel loco ove lontano è Palamede.
A ciascun di timor l’alma si scuote
Quando in un punto istesso e sente e vede
L’invitta schiera, e s’empie il ciel di note
D’aspro dolor di quei cui primi fiede
Di mille gravi lance il duro intoppo,
Ch’al più profondo scoglio saria troppo.
lxxxix
     Il Britannico re, che innanzi arriva,
Ascalaso Aquitano incontra il primo
E dall’alto caval di quella riva
Trapassato nel core il pose all’imo.
Col colpo istesso della vita priva,
Che dietro a lui venìa, l’ispano Edimo;
Doppo lui ’l terzo e ’l quarto non ferito,
Ma sotto i lor cavai prostese al lito,
xc
     Che l’uno Edippo fu, l’altro Calisto,
Ambedue nati già sopra la Sorga,
Pria che ’l suo corso al Rodano commisto
Il ventoso Avignon vicino scorga.
Indi col brando in man doglioso e tristo
Fa qualunque guerrier suo destin porga
Di spronar contr’a lui, che dove stampa
Il dispietato ferro un sol non scampa.
xci
     Uccise ancora il misero Foreno,
Che nacque all’Allobrogica Lisera,
E gli mandò la testa su ’l terreno
Come grandine i fior di primavera.
Dopp’esso Cresio, del medesmo seno,
Ma in basso alquanto, ove più torre altera,
Che le tempie ambedue traverse passa;
E Palarcon con lui morto anco lassa.
xcii
     Poscia il compagno suo segue, Balerto,
Che ’n dietro quanto può ratto fuggìa,
Il qual, per gli altrui danni del suo certo,
Mal ritruova al suo scampo aperta via:
Che ’l valoroso Arturo dove inserto
Par che ’l collo co i nervi al capo stia
Con un riverso in tal maniera il coglie,
Che tosto quel da questi si discioglie.