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xxxv
     E bene ad uopo fu, che d’altra parte
Eran là giunti di Clodasso i figli,
Ch’avean già molte mura a terra sparte,
E molti vostri campi eran vermigli;
Quel ch’io facessi allor con forza, ed arte,
Altri a narrarlo la fatica pigli;
So ben, che l’un con pace, e i due con guerra,
Fei, che non danneggiar la vostra terra.
xxxvi
     Or se, scacciati quei, venuto sete
Qui per punirgli, e far sicuro voi,
Con qual cor, con che voce affermerete,
Che guerreggiate per onor di noi?
Desio di gloria, e di vendetta sete,
Non amor del re Bano, o d’altri suoi,
Del quale or vi conosco troppo parco,
V’han qui menato ad espugnare Avarco.
xxxvii
     E quando e fosse pur, divotamente
Vi prego, che lassiate omai l’impresa;
Ch’io non intendo voi, nè vostra gente
Adoprar per aita, o per difesa:
Ben’ ho fatto, e farò più che dolente
Con questa man chi m’aggia fatto offesa;
Sì che potreste indietro ritornare,
Se voi per questo sol passaste il mare.
xxxviii
     Da voi rifiuto ogni paese, e loco
Già da’ miei per addietro posseduto;
Perch’io prezzo niente, non che poco,
Ricchezze, possession, regno o tributo:
Ogni altra cosa insomma mi par gioco,
Se non quel vero onor, che n’è dovuto,
Dell’istessa virtù, che da noi nasce,
E di cibo immortal gli animi pasce.
xxxix
     Lasciatemi pur voi povero,
Co l’arme, e co i pensier, ch’io porto in seno,
Che s’io non potrò far tropp’alto volo,
Nella mia libertà starommi almeno:
E poi che quanto più v’adoro, e colo,
Tanto son più scernito da Gaveno,
E meno il mio servir sempre v’aggrada;
Non intendo per voi cinger più spada.
xl
     Cosa che senza colpa io posso fare,
Non essendo tenuto a giuramento,
Nè di cavalleria, nè d’altro affare,
Chè d’ogni nodo libero mi sento;
L’omaggio in vostra man lassai pigliare
Da Boorte, e da gli altri, a cui consento
Quanto mai troveran di tutto il bene
De’ nostri antichi, che Clodasso tiene.
xli
     E’ ver che nel mio cor disposto avea,
Di voi sempre seguire in ogni guerra,
Ma dispose altro la fortuna rea,
Che ’l cammin disegnato spesso serra,
Nè desio men di quel che già solea,
Di vedervi felice, e grande in terra:
Dio vi dia pur vittoria, e metta in core
Di pregiare, e inalzar chi merta onore.
xlii
     Così detto s’assise: e ’l re sdegnoso
Risponde: Senza fin grazie vi rendo
De i buon ricordi, e del desio bramoso
Di tutto quello, ove la voglia intendo:
Che cerchiate per voi pace, e riposo;
Lasciando me, nessuno affanno prendo
Chè molti altri ho speranza all’onor mio
D’aver più amici; e sovra tutti Dio.
xliii
     E non ci sendo voi, penserò avere
D’ogni lite o questïon purgato il campo;
Io qua più in pace non potea tenere,
Nè contro al vostro orgoglio avere scampo;
Se ’l Ciel vi diè d’ogni altro cavaliere
Di forza, e di valor suppremo lampo,
Devreste in guerra usarlo, e tra i nemici,
Non, com’or, ne i consigli, e tra gli amici;
xliv
     Nè contr’a me; cui la bontà divina
Ha più degno, ch’a voi, donato loco:
Gitene or dunque, dove più v’inchina
L’alta vostra superbia, e ’l vostro foco,
Chè quel che ’l Cielo in alto mi destina,
Non mi potrà fallir, sia molto, o poco,
Altresì a voi, che ’l Re de la natura
Egualmente di tutti ha dritta cura.
xlv
     Poi che ’l re si tacea, più non potendo
Il fido Galealto omai soffrire,
Incominciò: Per quel ch’io veggio, e ’ntendo,
Troppo infiammati son gli sdegni, e l’ire,
Invittissimo re; nè ben comprendo,
Come vi possa l’alma consentire,
Per sì breve cagion di perder tale,
Ch’assai più sol, che tutto il mondo vale.
xlvi
     Lassiamo andar che ’l suo patir vi toglia
Di mano ogni vittoria ed ogni spene,
E che ne dee venir disnore e doglia
Alla vostra corona, a gli altri pene,
Perchè l’uom puote aver talvolta voglia
Di convertire in mal l’avuto bene:
Ma qual potrete dir giusta ragione
Che da voi nasca un simil guiderdone?
xlvii
     Chi non sa di costui l’alto valore
E ’n servigio di voi le divin’opre,
O ch’egli è senza orecchie o ch’egli è fuore
Di questa vita, e molta terra il cuopre:
Ma quando ei fosse ascoso, al vostro core,
Ch’è il sommo testimonio, ognor si scuopre,
Ognor si mostra l’alta sua virtute,
Che partorì più volte a lui salute.
xlviii
     Non è presente ognora a gli occhi vostri
Quel ch’ei fè contr’a me nel gran bisogno?
Ei sol s’oppose a i gravi assalti nostri,
Gli affrenò sol (nè a dirlo mi vergogno):
Chè chi ’l scrivesse, i più famosi inchiostri
Tutti presso di lui parrebber sogno.
Col suo valore il mio furore estinse
E con la sua bontade al fine il vinse.