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lxv
     E lassan ch’a Fenice e Trasimede,
I miglior due guerrieri e di più ardire,
Tutti quegli altri, ove il bisogno chiede,
Come a lor duci debbano ubbidire:
E i sette poscia in un muovono il piede
Ove speran trovar cieca dormire
Di quei di Seguran la maggior parte,
Trall’arenose rive intorno sparte.
lxvi
     Quai sette lupi van, che dalla fame
Per più di molestati escon del bosco,
Ch’ove più belle mandre odor gli chiame
Drizzano il fero corso all’aer fosco,
Le quai ritrovin miserelle e grame
Ove il cane è indormito e ’l pastor losco:
Sì che molte hanno uccise della greggia
Pria che senta il mastino o ’l guardian veggia.
lxvii
     Tai giugnendo costor su ’l lato manco
Ove al fiume lontan più surge il colle,
Il fer gotico stuol ferono al fianco
E fan del sangue suo l’arena molle:
Che la sera assetato, afflitto e stanco
Di vivande e di vin sì ben satolle
Avea lieto in tra sè l’avide voglie
Che dal sonno al romor non si discioglie.
lxviii
     Il primiero a ferir fu Lionello,
Che pon lo strale al gepido Ascalese
Dietro alla fronte, e penetra il cervello,
Sì che dolce sognando a Pluto scese:
Il qual, se ben sott’altro paralello
Nato era lunge al gotico paese,
Pur sotto il feroc’Ilba si conduce
Ch’a l’uno e l’altro popolo era duce.
lxix
     Il cavalier Norgallo appresso viene,
E con l’asta pungente uccide Aroco
Del sangue goto, il qual sopra l’arene
Il notturno rigor temprava al foco.
Trapassò ’l tutto ove alle spalle avviene
Il fin della corazza, che sì poco
Al gran colpo mortal gli porge aita
Che col suo contrastar perde la vita.
lxx
     Il buon Florio toscan tosto che ’ntende
Che questo era lo stuol ch’egli odia tanto
E che ’l bel nido suo rapisce e ’ncende
E ’l tien sepolto in miserabil pianto,
Più spietato che mai sovr’esso stende
Il fortissimo brando, e truova Alanto
Che di Teodorico era nipote,
E ch’hanno in sommo onor le genti gote;
lxxi
     E dietro al destro orecchio entra la punta
Ove surge durissimo quell’osso
Il qual d’ogni furor la forza spunta
Da qual colpo maggior vegna percosso.
Ma come in lui vibrando è sovragiunta,
No ’l potendo del loco avere smosso,
Va nel cavo vicino, ed oltra vola
Ove il collo è inserrato con la gola.
lxxii
     Ivi il lassa tremante su la terra,
E qual fero leon fra gli altri spinge
Il crudel ferro, e lì medesmo atterra
Tepulto il fero, che dormir si finge
Perchè de’ suoi vicin la cruda guerra
D’infinito timor l’alma gli stringe,
Nè d’indi rifuggir vede la via
Che non sia dal nemico oppresso pria;
lxxiii
     Così tacito sta, ma non gli vale,
Che ’l feroce toscan sopra la testa
Che bassa tien gli dà colpo mortale,
Tal che degli altri tre compagno resta.
E Maligante intanto gli altri assale
Che de i morti primier sono alla testa,
E fa che ’l crudo Arpin che ascoso dorme
Nel tartareo terreno stampi l’orme.
lxxiv
     Nè indietro si riman l’altero Eretto,
Che ’l ricchissimo Arnaldo spinge a morte,
Che gli mise la spada in mezzo il petto,
Onde l’alma al fuggir trovò le porte.
Era costui nuovo signore eletto
Ove il Partenopeo con dura sorte
Era d’ogni suo bene e d’uomin vòto
Dal rabbioso furor dell’Ostrogoto.
lxxv
     Il nobil Gossemante, core ardito,
Che l’impuro Circon trova riverso
Con un colpo al destr’occhio sovra il lito
Di sangue il lassa e d’atro vino asperso;
E ’l chiaro Persevallo avea ferito
Dentro al cavo del cor, proprio a traverso,
Sagonto il biondo, di Seran figliuolo,
Che d’appellarsi re sostenne solo;
lxxvi
     E nel mezzo di servi e d’altri intorno
Di serici tappeti il letto avea,
Condotto ivi d’Avarco, e ’n guisa adorno
Che non men delle fiamme rilucea.
Ma il chiaro cavalier per suo più scorno
Il sostegno con lui seco traea,
Poi Torante il suo amico a lui vicino
Pose in fronte percosso a capo chino.
lxxvii
     Ma de i danni il romor per tutto è scorso,
Mentre i sette ponean le genti al fine,
E l’abbattuto stuol chiama soccorso
Dalle genti ch’a loro eran vicine:
Sì che già largo numero era corso
Delle lor proprie schiere e peregrine;
Ma mentre appellan quei, questi altri vanno,
I buon sette guerrier gran prove fanno.
lxxviii
     L’altero Seguran, che d’altro lato
Il suo seggio da quei tenea lontano,
Clodin con molta gente avea mandato
A ’ntender se ’l romor sia certo o vano;
Ma poi che per più voci ha il ver trovato,
Che dal barbaro popolo inumano
In sonno, in tema, in tenebre ravvolto
Con duro lamentar cresciuto è molto,