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     Mentre con liete voci Arturo appruova
E l’offerta onorata in grado prende,
Giunta è già con Gaven la schiera nuova
Di molti cavalier che questo intende,
E ciascun de’ miglior si mette in pruova
D’esser esso il compagno, e in esso spende
Larghe preghiere al re con caro affetto
In così degna impresa essere eletto.
lii
     Fu Boorte il primier, poscia Gaveno,
Il buon Nestor di Gave e Lionello,
Il cavalier Norgallo, il pio Baveno,
Eretto, Gargantino e Florio, quello
Che del tosco Arno suo già nato in seno
Del gotico furor fatto rubello
Per così lungo mar co’ suoi venuto
Del britannico stuolo era in aiuto.
liii
     Nè men vuol Gossemante, il core ardito,
Come Lucano il Brutto ed Agrevallo;
Ivano ed Abondan di voglia unito
Il medesmo domanda, e Persevallo.
Così quindici son che sovra il lito
Ove le guardie stan di fuori al vallo
Cercan con ogni sforzo e in ogni via
D’esser di Maligante compagnia.
liv
     Quando il saggio Tristan la lite vede,
Della quale ei medesmo era inventore,
Di dar ordine al tutto al suo re chiede,
Ed egli il consentìo con lieto core;
Ond’ei: Poi che l’andar non mi si cede
Ov’io sperai trovar supremo onore,
Contento sto, che indegno è il cavaliero
Che non vuole ubbidir d’avere impero.
lv
     Io vi consiglierei che Maligante
Con sei di quei guerrier che voglion gire,
Con venti poi ciascun, gissero avante
L’empie schiere nemiche ad assalire:
Pochi andasser primieri, e che ’l restante
In parte ascoso ove potesse udire
Ben del tutto avisato e stretto stesse,
A rispinger da’ suoi chi gli premesse;
lvi
     Ed io con cinque insegne poi de’ miei
Non di molto lontan sarei da’ fossi,
E l’inchinate schiere sosterrei
Di quei dal loco lor per forza mossi:
Poi la fortuna chiara seguirei,
Se da lei favorito in parte fossi:
Nè saria da sprezzar, perchè sovente
Vincitrice vid’io la minor gente.
lvii
     Or perchè troppi son quei cavalieri
Cui del novello onore ha punti sprone,
E dell’oste e di voi sostegni interi,
Di tutti insieme andar non è ragione;
Ma però che di sdegno a petti alteri
Porria l’elezzion donar cagione,
Da poi ch’esser non può se non perfetta
Di fortuna all’arbitrio si rimetta.
lviii
     Fu da ciascun com’ottimo il consiglio,
Ma più dal re Britannico , lodato
Ch’a lui rispose con allegro ciglio:
Non fia ’l vostro disegno indarno nato,
Sol che mi promettiate al gran periglio,
Dal generoso cor troppo invitato,
Di non scorrer un passo più lontano
Di quel che detto aviam, caro Tristano.
lix
     Così con poca luce che mostrasse
Fur de i nomi di quei descritte carte;
Ch’entro al fondo d’un elmo ascose e basse
Come a guardia fedel diedero a Marte;
Ad una ad una poi mischiando trasse
Il buon re Lago, e le leggeva parte:
E la prima a venir dell’altre tante
Fu con favor comun di Maligante.
lx
     Fu di Norgalle appresso il cavaliero,
Indi Florio il toscano e poscia Eretto
Con Gossemante, il core ardito e fero,
Indi vien Lionello il giovinetto.
A far de i sette il bel numero intero
Fu da fortuna Persevallo eletto.
Ora ha d’essi ciascun sì lieto il core
Come quei che restar premea dolore.
lxi
     Ogni uom de i venti suoi lo stuolo adduce
Con quell’arme più oscure che si truove.
Ogni piuma, ogni arnese che riluce,
Dando in guardia al vicin, da sè rimuove.
Il giovin Lionel, che n’era duce,
Ha seco tutti arcier di antiche pruove;
Il cavalier Norgallo che ’l seguia
Ha di fortissime aste compagnia;
lxii
     Il medesmo ave Eretto, e poi gli altri hanno
Con gli scudi leggier pungenti spade,
Per poter più schifare e portar danno
Senza gran faticar per lunghe strade.
Già dal campo partiti ascosi vanno
Ove son più intricate le contrade;
Ma Lionel con l’arco e Maligante
Con lo scudo e col brando ivano avante.
lxiii
     Già il franco Lionel da presso scorge
Un che ascoso intendea, di quei d’Avarco;
Fa fermar Maligante, e innanzi porge,
Sì come presti avea, lo strale e l’arco.
Scocca verso il meschin, che non s’accorge,
E che pensa secur tenere il varco:
Sopra ambedue le ciglia in fronte il prese,
Tal che senza romor morto si stese.
lxiv
     Or par loro a i disegni aperto il passo,
Che d’indi oltra seguir non sia disdetto.
Va con l’orecchio a terra or alto or basso,
Nè di sentire alcun prendon sospetto;
Sì ch’ove era colui di vita casso
Lassan l’altro drappel venir ristretto,
Cui dicon ch’ivi ascoso e cheto attenda
Fin che in alto gridar chiamarse intenda;