Pagina:Alamanni - Avarchide.djvu/137

xxxvii
     Quando sorge il gran re che ’l pio Tristano
Che tanto s’affannò l’andato giorno
Avea senza posar gli occhi e la mano
Al duro faticar fatto ritorno,
Comincia: O cavalier di sovrumano
Senno, amore e valore e forza adorno,
Ovunque io fermi il passo, ovunque io vada
Vi ritruovo d’onor calcar la strada.
xxxviii
     Quai parole potrei, quali opre usare
Per lodare e pagar tai merti a pieno?
Che converrebbe in voi tutti spiegare
I tesori e gli onor ch’ha Giove in seno;
E poi ch’altro per uom non si può fare,
Accettate il buon cor di desio pieno
Di non esservi ingrato, e porvi in parte
Ch’a voi fossero eguali Apollo e Marte.
xxxix
     Gli risponde Tristan: Null’altro voglio,
Sagratissimo re, ch’esservi caro
E servirvi ad ogni or non men ch’io soglio,
Di cui più che di viver sono avaro;
Ma del mio non poter troppo mi doglio
Trarvi in un punto dell’assedio amaro,
E che ’l giusto bramare al fin non vegna
Di portare sovra ogni uom la vostra insegna.
xl
     Or io, per ragionar di quel che preme
Più nell’ora presente, loderei,
Per più aperto mostrar che non si teme
Nè vogliam soggiacere a i casi rei,
Ch’io solo andassi, o con un altro insieme,
In poca compagnia d’alcun de’ miei,
Assalire i nemici alla fosc’ombra,
Or che ’l sonno tra ’l vin gli lega e ’ngombra;
xli
     E di lor penserei sì larga palma
Ben tosto riportar, che quasi fora
De i ricevuti danni egual la salma,
Ch’or di peso maggior fra noi dimora:
Chè di gente infinita saria l’alma
Dalle indomite membra uscita fuora,
E le schiere svegliate in fuga messe
Pria che d’arme il romor sonato avesse.
xlii
     Il britannico re con lieto volto
Risponde: E chi potria sì chiara impresa
Se non con alto dire onorar molto
Come d’invitto cor, qual è discesa?
Ma in noturni perigli udire involto
Ogni sostegno mio troppo mi pesa,
Perch’ogni altro soccorso avrei per vano
Se mi furasse il fato il mio Tristano.
xliii
     Però per quello amor che mi mostrate,
E che col raro oprare apetro veggio,
Che l’ardente vostr’animo tempriate,
Ove l’uopo è minore, in grazia chieggio:
E che tal alma al rischio riserviate
Ove il nostro morir si mostri, o peggio;
Nè si creda alla notte e gli error suoi
Quello invitto guerrier che sète voi.
xliv
     Segue il saggio parlar con dolce amore
Il sacro re dell’Orcadi, e gli dice:
Veramente il fidar sì gran valore
All’orror tenebroso si disdice:
Quando ne mostra il dì luce maggiore
E più ralluma il sol questa pendice
E che ’l mezzo cammin fra noi ricopre,
Spiegar sol di Tristan si devon l’opre.
xlv
     Vero è che a gran ragion fatto saria,
Per le cagion ch’ei disse, e per avere
De i consigli nemici alcuna spia
Del modo e del cammin ch’hanno a tenere,
Se di espugnarne ancor cercheran via
O di così l’assedio mantenere
Ristringendo di noi le forze e ’l corso,
Fin ch’egli aggiano altronde altro soccorso.
xlvi
     Ma deve in tale affare essere eletto
Chi non fosse fra noi di sì gran danno,
Di piè snello e leggier, di forte petto
Da soffrir senza pena il molto affanno,
Di core alto e sicuro: che ’l sospetto
E ’l timor di morir sovente fanno
Cose apparire altrui mostrose e fere
Men che oscuri fantasmi o sogni vere.
xlvii
     Al ragionar del vecchio, Maligante,
Che di quanto ei disegna era fornito,
Il passo sciolto aveva, il corpo aitante,
Fermo e saggio il pensiero, il core ardito,
Esperto del cammin, che ’ndietro e innante
Mille volte ha calcato il proprio lito,
Dice: A quanto raccoglio, io son quell’io
Ch’a tale opra compir sarà il men rio:
xlviii
     Che quando pur di me fortuna avversa
Il già mai ritornar contenda a voi
Sopra me solo il danno si riversa,
Che molti altri ci sono eguali a noi;
E la schiera ch’io meno fia conversa
In seguir Bandegamo e gli altri suoi,
E congiunta con lui concorde fia
Di Cicestra la gente e di Rossìa.
xlix
     E s’io non porto a quei danno e disnore
Ed a voi qui di lor novelle certe,
Sia tenuto oscurato il nostro onore
E le parole mie menzogne aperte.
Il vero è ben che ’n solitario orrore
E per vie perigliose avvolte e ’ncerte
Non porria lungo far nè chiaro il volo,
Come faria mestier chi fusse solo.
l
     Però, s’a voi parrà, qualch’altro meco
Di quei che più vorran vegna all’impresa,
Che sia invece di scorta all’andar cieco
E nell’arme adoprar salda difesa;
Poi il ragionare e ’l consigliarsi seco,
O nel ritrarre il piede o in fare offesa,
Mentre ch’aiuta l’un, l’altro conforta,
La vittoria o lo scampo spesso apporta.