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ix
     Or rispondimi tosto, e ferma il passo,
Che non viene ov’io son chi ’l nome tace:
Se non che resterai di vita casso
Dal mio brando fedel che presso giace:
Risponde Arturo allora: Io son quel lasso
Britanno re ch’alla fortuna spiace
Già son più giorni, e ’n così acerba sorte
Che senza suo disnor brama la morte.
x
     Quando conosce il re, su ’l duro letto
Appoggiato l’un braccio alza la fronte
Dicendo: O sacro Arturo in terra eletto
Per imprese onorate, altere e conte,
Chi vi scorge in tal loco e sì soletto
Quando son più la dormir le luci pronte?
Voi siete d’adamante, il qual non ponno
Domar fame, lassezza, sete o sonno.
xi
     E quale alta cagion qui vi conduce
Allor che riposar devreste alquanto,
Per tornar poi nella novella luce
Più forte a vendicar de’ nostri il pianto?
Non potevate almen qualch’altro duce
Mandar d’intorno, e voi quetare intanto?
Chè ’l tutto oprar da sè non si conviene,
Ma vie più il comandar, chi scettro tiene.
xii
     Ben gli risponde Arturo è certo e vero,
Onorato mio padre, il vostro dire:
Ma nel tempo, qual or, contrario e fero
Fuor dell’uso comune è forza gire,
Nè solo esercitar di re l’impero,
Ma piegarse umilmente ed ubbidire
Al minimo guerrier, per fare strada
A chi poi dietro a lui più lieto vada.
xiii
     Mentre così dicea, già fuor del letto
Era uscito il buon vecchio, e si cingea
Di drappo porporin gli omeri e ’l petto,
Che non molto oltr’al busto gli pendea;
Poscia in abito acconcia, ch’alto e stretto
Per l’arme sostener pronta tenea,
Grossa pelle vestia di cerva annosa,
Ove senza impiagar l’incarco posa.
xiv
     La splendente corazza e l’elmo fino
Che non cedendo a gli anni ancora adopra,
Però che sempre in loco a lui vicino
Veder gli vuole, a lui pendevan sopra
Tra la lancia e lo scudo, che Merlino
Gli fè già fabbricar con divin’opra;
Ma per voler del re gli lassa allora,
Perch’altro uso chiedea la notturn’ora;
xv
     E gli dice: Moviam, che ’l tempo sprona
A gire ove le guardie hanno la sede
Per ricercar s’al sonno s’abbandona
Di loro alcun ch’alla lassezza cede;
E ’n cammin chiamaremo ogni persona
Di maggior sangue, e ch’al consiglio assiede,
Per ragionar di noi quel ch’al dì fia,
E del campo di là cercare spia.
xvi
     Gli consente il re Lago, e cinge solo
Il brando, e picciola asta ha presa in mano;
Poi perchè pur raffredda il fosco polo,
D’aspro lupo s’avvolge il vello estrano.
Indi per Maligante il primo volo
Drizzano insieme, ch’era prossimano;
Giunti all’albergo suo, l’Orcado chiama:
O di Gorre guerrier d’altera fama,
xvii
     Volete voi passar nell’ozio l’ore
Che spender si devrieno in miglior uso?
Tosto il buon cavalier sente il romore,
E fuor del padiglion corre confuso;
Come scorge ambedue, con umil core
Dice: O sacrati re, troppo m’accuso
Ch’or mi troviate pigro e neghittoso,
Come lepretta vil nel nido ascoso.
xviii
     Ma quale alta cagione a noi vi spinge?
Forse altero pensier di nuova impresa?
O pur che Seguran le schiere accinge
Per muover verso noi notturna offesa?
Risponde Arturo a lui: L’alma ne stringe
Nuovo timor che la fortuna, intesa
Del tutto al nostro mal, non ci ritruovi,
Senza ben provveder, con danni nuovi.
xix
     Così svegliando andiam quei cavalieri
In cui fondate aviam nostre speranze;
E Gaven va calcando altri sentieri
Perchè Tristano il suo venire avanze
Là dove per guardar locò i guerrieri
Lì fuor del vallo in più secrete stanze,
Sotto gli occhi de’ quai dell’altre torme
Ogni duce maggior securo dorme.
xx
     Tosto ritorna allor dentro all’albergo
E sol prende il suo scudo Maligante;
E per non s’impedir, l’adatta al tergo,
Chè di maglia coverto era davante;
E col suo brando sol seguìa da tergo
L’alta coppia real ch’andava innante.
Nè molto così van, che ’n su le porte
Delle tende ch’avea truovan Boorte,
xxi
     Che nell’aperto ciel sovra la pelle
Stese ha le membra di salvatic’orso,
Ove il triste vapor d’uimide stelle
O di rigido giel non cura il morso.
D’arme coperto ancor lucide e belle,
Per aver più spedito ogni soccorso,
Sopra lo scudo suo la fronte avea,
A cui posto vicin l’elmo lucea.
xxii
     Lì da gli ornati legni in giro appese
Mille aste si vedean di varia sorte,
Di piede e di cavallo atte all’offese,
Che dell’uno e dell’altro aveva scorte.
La lancia è in mezzo ch’a più altere imprese
Sopra il più gran destrier porta Boorte:
La qual crolla oltr’a lui null’altra mano
Fuor che di Lancilotto e di Tristano.