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CANTO XIV

ARGOMENTO

      Nel comune periglio Arturo aduna
Il consiglio de’ saggi, e loro espone
Di placar Lancilotto: a ciò opportuna
Schiera vien scelta, e in essa si ripone
Ogni speranza. Parte, espon; niuna
Vuol l'offeso ascoltar prece, o ragione.
Pur Lambego riman, gli altri ad Arturo
Portan di Lancilotto il pensier duro.

i
In tal riposo e ’n sì fiorita speme
Le guardie avea l’esercito d’Avarco;
Ma d’altro lato acerba doglia preme
Il cor d’Arturo, che di tema e’ carco,
D’ira, di sdegno e di vergogna insieme,
Chè mal difeso avea l’antico varco
Tenuto infino allor senz’altro danno
Quasi tutto il cammin del settim’anno.
ii
     Il medesmo avvenia ne gli altri ancora
Duci e gran cavalier che ’ntorno avea.
Tra i privati guerrier gran parte plora
D’amico o di cugin la morte rea;
Chi di sè, lamentando, l’ultim’ora
Con gli occhi del timor presso vedea,
Chè l’altrui di quel dì passato essempio
Gli mostrava vicin l’istesso scempio.
iii
     Soli il chiaro Tristano e ’l pio Boorte
Si potean riveder quali eran mai
D’invittissimo cor, d’animo forte
Minacciare a i nemici ontosi guai,
E del sentito mal biasmar la sorte
E del ciel contr’a lor gl’irati rai:
Confortando ciascun di sperar bene,
Chè non sempre il medesmo ha dolce o pene.
iv
     E poi ch’ebbero i due disposte intorno,
Tristano al destro e quegli al manco lato,
Le gardie sì, che non potesse scorno
Dal nemico vicino esser portato,
Là dov’era il gran re fanno ritorno,
Che ’n mezzo stava del suo stuolo amato
Ripien d’atra tristezza del seguìto,
E di quello avvenire sbigottito;
v
     Ma al rimirar de i due la vista chiara
Il volto e ’l cor si rasserena alquanto,
Dicendo: Or che faremo, altera e rara
Coppia a cui di virtù dò il primo vanto?
Che fin veggiamo alla rovina amara
Che ne sta sopra, ed al perpetuo pianto
Dell’onor già perduto e del gran nome
Nostro, aggravato di sì abbiette some?
vi
     Deviam noi ritornar, come a me pare,
Al medesmo cammin che qui n’ha indotto,
E rivarcar della Britannia il mare
Poi ch’è ’l nostro sperar piegato e rotto?
E dar gioia a i nemici senza pare,
E sovra tutti al crudo Lancilotto?
E lì dietro a i confin del mio paese
Esser presti a soffrir novelle offese?
vii
     O pur, quinci restando, in altra prova
E ’n gran rischio ripor le nostre genti
Per veder s’a pietade il ciel si muova
O se vuol più che mai farne dolenti?
Chè ’l sovente tentar talvolta giova,
Talvolta i tentator per sempre ha spenti;
Dura cosa e’ il partir senza alcun frutto,
E durissima ancor perdere il tutto.
viii
     Così disse, e Tristan turbato in volto
Risponde: Or fia possibile che ’n voi
Così breve accidente aggia ritolto
Quell’ardir ch’avanzò gli antichi suoi,
E per sì poco danno or caggia avvolto
Di timore il pensier che gli altri eroi
Si lasciò indietro col montare in alto,
Senza curar di sorte alcuno assalto?
ix
     Non crederrò già mai che ’l grande Arturo
Ragioni del fuggir se non per gioco:
Il qual pens’io che viveria securo
In tra i folti nemici e ’n mezzo il foco,
Non che cinto sì ben di fosso e muro,
Tra tanti cavalier che d’ogni loco
Basso, aperto ed esposto a i propri danni
Porrian saldo guardarlo infinit’anni.
x
     Dico adunque, signor, che qui si deve
Ristorare e posar le genti lasse
Della lunga fatica e sudor greve,
Mentre che ’l sol nell’oceàno stasse;
Ma poi che ’l suo splendor l’alba riceve,
Che si debba uscir fuor con l’aste basse,
E col cor più che mai securo ed alto
Apportare a i nemici un nuovo assalto.