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civ
Ma in questo mezzo il sol calati i rai
Dietro al Marocco avea nell’occidente,
Tal che di speme e di timor di guai
Già imposto ha il fine all’una e l’altra gente:
Onde il Britanno stuol s’allegra assai,
E ’l grande oste di Avarco n’è dolente
Pensando che s’ancor durasse il giorno
Girsen potea della vittoria adorno.
cv
Il fero Seguran, cedendo all’ore,
Che ’n dietro ogni guerrier seco s’accoglia
Fa intorno comandar l’alte e sonore
Trombe, e che ’l guerreggiare omai si scioglia.
Ma poi che ’l negro ed umido colore
D’ogni luce ch’avea l’aria dispoglia,
Su la sinistra man lieto gli mena
Ove irriga l’Oron la secca arena.
cvi
Ivi sopra il cavallo, in man tenendo
La spada ancor, chè non la vuol riporre,
Intorno a cui di crudo aspetto orrendo
Il britannico sangue largo corre,
Parla a tutti: Signori, io ben comprendo
Che ’l ciel non ha voluto oggi disporre
La vittoria per noi però che vuole
Che con più onor l’abbiam nel nuovo sole;
cvii
E fia ’l nostro miglior, perchè la notte
N’aria tolto il seguir la nostra sorte:
Chè mai puosse all’oscuro aver condotte
Tali e sì grandi schiere integre a morte,
Che molte de i confin più che noi dotte,
Fuggir potean per vie chiuse e distorte,
Altre, ove l’ombra più nascosa preme,
Per di nuovo assalir mettersi insieme;
cviii
Ove al primo apparir di quella luce
Che risurgendo il sol nuova ne mostre,
Ogni buon cavaliero ed ogni duce
Rimenando a ferir le genti nostre,
Con l’antico valor che ’n voi riluce
Prima che tutto il ciel s’indore e inostre
Preso il lor campo e messi in fuga avremo;
Poi l’altre ore in seguirgli spenderemo.
cix
Ma per non perder tempo nell’aurora
A rimettere in un le sparse schiere
O per ristretto calle trarle fuora
E conducerle al loco ove si fere,
Qui la notturna fia nostra dimora,
Là dove d’ora in ora rivedere
Del nemico potrasse ogni consiglio,
Senza crederlo altrui, col proprio ciglio.
cx
Or qui dunque di spessi e larghi fochi
Farem del nostro Orone il lito adorno,
Onde scerner potrem per tutti i lochi
Ogni laccio, ogni insidia tesa intorno,
Nè ci porgano offesa i molti o pochi
Che nel fin sopra lor non sia lo scorno;
E potrem discoprendo anco impedire
Se celati da noi vorran fuggire.
cxi
Vada Attore l’araldo entro alla terra,
E narri al re Clodasso i pensier nostri,
Che per quanto quest’ombra il lume atterra
Non abbandonerem d’Orone i chiostri;
E ch’egli intanto a quel ch’Avarco serra
Come guardar si deve a’ suoi dimostri,
E i vecchi e i giovincei con somma cura
Aggian l’albergo lor sopra le mura,
cxii
E che l’alte finestre e l’ampie strade
Le femmine vegghiando empion di faci,
Sì che non sian le peregrine spade
Ascose in lor da tenebre fallaci;
E qui, dove sol nude han le contrade
I guerrier di valor chiari seguaci,
Di preziosi vin gran copia mande
E di maniere assai larghe vivande.
cxiii
Attor volando gìo, nè molto stette
Che già carri infiniti segnan l’orme,
Già vengon di monton le gregge elette
E di cornuti buoi le grasse torme.
Già ciascun lieto all’opera si mette
Dell’albergo apprestare, e nessun dorme,
Infin ch’hanno i graditi cavalieri
Adagiati e pasciuti i lor destrieri.
cxiv
Già i larghissimi fochi in alto vanno,
Ch’alle nubi occupar drizzano il piede:
Tre volte mille furo, e ’n ciascuno hanno
Almen trenta guerrier mischiata sede;
E tutti in cerchio della valle stanno
Con sì chiaro splendor, ch’ivi si vede
Ceder al lume lor l’umida notte
Con le tenebre sue fugate e rotte.
cxv
Han di lunge sembianza al ciel sereno,
Quando Delia il fratello opposta mira
Dall’altro punto, e che di stelle pieno
Lucentissime e vaghe intorno gira,
Che l’ombre scuote che si truova in seno
Co i dolci raggi che ciascuna spira:
Onde il colle vicin chiaro si scorge
E ’l pastor lieto a contemplarle sorge.
cxvi
Tali eran gli alti fuochi, a cui vicina
Parte omai del digiun ristoro prende,
Parte al lento riposo gli occhi inchina
E l’affannate membra a terra stende,
Parte a i fossi del campo s’avvicina
E celata ascoltar l’animo intende,
Ricangiandosi tal, ch’a ciascun tocchi
Il quetare e svegliar gli spirti e gli occhi.