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Il qual per giusta pena ho giuramento
Non cinger d’arme al termine d’un mese,
Ma di lassarlo star tra ’l vile armento,
Cinto d’abbietta corda, in rozzo arnese;
E di dare a te il pregio oggi consento,
Di quanti uscir del betico paese
Di destrezza, d’ardir, d’arte e di possa,
S’oltra mi porterai di quella fossa.
cx
E da poi che qui avrem compìto e vinto
Questo giorno fatal, sì com’io spero,
Sempre di culto fien ti vedrai cinto
L’albergo chiaro e ’l tuo presepio altero,
Ove in vago lavor sarà dipinto
Il tuo sommo valor degno d’impero
Sopra quanti ha destrieri in altra parte;
Nè s’opporrà al mio dire Apollo o Marte.
cxi
Così dicendo, il drizza al destro lato
Del fosso ch’alla porta era vicino,
Lontano alquanto ove Tristano armato
Difeso a suo poter tiene il confino.
Il fer caval, come s’e’ fosse alato,
Con acceso desio prende il cammino,
E quanti incontra nella turba stretta
L’un sovra l’altro riversati getta.
cxii
Ivi un monte mischiato si vedìa
Di cavai traversati e gente a piede;
Chi già morto era in tutto e chi languìa,
Chi si lassa oppressar, chi cangia sede:
Quel chiama aita, e quel la bocca aprìa,
Ma lo spirito fral l’aria non fiede:
Ancor muove la spada e spira a guerra.
CANTO XIII
ARGOMENTO
Passa il fosso l’audace Segurano
Strage portando entro il nemico vallo;
Si fan contro Boorte, Artur, Tristano,
E torna orrido allor di Marte il ballo.
Scorre la Parca ria; furore insano
Mesce e confonde cavalier, cavallo;
Si ritira Tristan, pari a lione;
Al sangue e all’ire fin la notte pone.
i
L’animoso Tristan dove più vede
De’ suoi, ch’oppressi son, grave il periglio,
Con quei che ’ntorno aveva ivi provvede
E tien pronta la man, l’occhio e ’l consiglio:
Talor sospinge innanzi e talor cede
Poi che ’l brando de i lor fece vermiglio;
E tanto oprando va ch’a poco a poco
Ove securi sien gli scorge al loco;
ii
E ben ch’aggia Baven, benchè Boorte
E molti altri famosi cavalieri,
Non può impedir che per l’istesse porte
Onde entravan fuggendo i suoi guerrieri
Molti con lor delle nemiche scorte
Aspramente mischiati arditi e feri
Non gli seguisser dentro, e tali e tanti
Che poteano addoppiar gli andati pianti.
iii
Ma il fero Seguran, che allor si sdegna
Di stampar il sentier per molti aperto,
In man prendendo una purpurea insegna
Sprona Eton nel cammin più stretto ed erto:
Passa il fosso d’un salto, e l’argin segna
Ove dal chiuso vallo e’ più coperto;
Ma con l’urto medesmo il getta a terra
E s’arma sol contra infiniti a guerra.
iv
Nel cui primo apparir, non altrimente
Fugge il Britanno popol da quel lato
Che suol la greggia vil che vede e sente
Nella mandra arrivar lupo affamato;
E ’l grande Iberno, di desire ardente
D’adempir di costor l’ultimo fato,
Quanto più saldo può fra loro sprona
E con gravi minacce alto ragiona:
v
Or tornatevi indietro, o femminelle,
A ritrovar per voi più degno loco
Di là dal mare, ove l’amiche stelle
V’inchinano all’amore, all’ozio, al gioco;
Et a noi d’ogni pace alme rubelle
Lassate in preda gir di Marte il foco
Che ne scalda dì e notte, e ne sospinge
Ove largo il terren di voi si pinge.