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     Disse Boorte allor: Padre famoso,
Ben veggio il vostro dir verace e chiaro;
Ma troppo al core in arme valoroso
Sembra il fuggir più che ’l morire amaro.
Che dirà Seguran vittorioso
Che d’ogni nostro biasmo è fatto avaro?
Come dolce gli fia di poter dire:
- Anco il nostro Boorte fei fuggire? -
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     Allora il saggio re gli rispondea:
Se ’l fero Seguran di questo vanto
Si vorrà ornar con la menzogna rea
Non gli sarà creduto tanto o quanto
Da qualla grande schiera ch’io vedea
L’altr’ier versarse in lamentevol pianto
Di donne e di donzelle che per voi
È senza sposi, figli e fratei suoi.
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     E così ragionando, il piè ritira
L’uno e l’altro de i due con gli altri insieme
Verso i fossi del campo, e non rimira
Chi di dietro il cammin correndo preme.
Ivi la turba rigida, ch’aspira
Alla morte di quei, d’intorno freme,
E con aste lontan, dardi e saette
Fan de i passati lor larghe vendette.
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     Ma il fero Seguran chiamando grida:
Dunque fuggite voi chiaro Boorte?
Ov’è l’alto valor ch’oggi s’annida
Dentro l’animo vostro altero e forte?
E perchè come suole, or non si fida
Nell’arme che gli fur sì amiche scorte
In tanti luoghi già? Perch’or s’addorme
E d’un sol Seguran paventa l’orme?
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     Quando il guerrier di Gave ode il parlare
Dell’orgoglioso Iberno, muor di duolo,
E ’l caval gira indietro, e vuol tornare:
Ma il trasporta, mal grado, il folto stuolo.
Tre volte tenta in van quello sforzare
E tre volte da lui gli è tolto il volo;
E condotto è nel fin dall’altrui possa
Ove il campo cingea l’ultima fossa.
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     Ivi d’alto timor venìa ricinta
La torma de i cavai tutta fuggendo,
Ch’altrui sospinge ed è d’altrui sospinta,
Con ordine intricato e suono orrendo.
Dietro a lei ratta vien di doglia avvinta
L’altra gente pedestre, e angusta essendo
La porta ch’al fuggir facea le strade
L’un sopra l’altro riversato cade.
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     Lì dimora Boorte, che ritruova
Non lunge a lei l’Armorico Tristano
Che di fargli voltar face ogni pruova,
Ma tutto il suo sforzar ritorna vano:
Che ’l confortare o minacciar non giova
Nè l’oprar verso lei cruda la mano,
Chè sì cieco è ’l timor, ch’a certa morte
Vuol più tosto cader ch’a dubbia sorte.
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     Ma poi ch’altro non può, tutto sostiene
De’ nemici il furor, mentre ogni schiera
Ad una ad una in sicurtà perviene,
Invidia avendo a chi v’andò primiera.
Lionello e Baven, che seco viene,
Oprano ancor con lui, che poca pèra
Della gente scacciata, e col piè fermo,
E con l’armata man le fanno schermo.
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     Così questi famosi cavalieri
Quai quattro ferocissimi molossi
Ivi apparian, che serrino i sentieri
A’ lupi in tra le gregge a ferir mossi:
Ch’or van mordendo innanzi arditi e feri,
Or di lor seggio e di potere scossi
Tornansi indietro, e fanno alti romori
Risvegliando i vicini e i lor pastori.
civ
     Ma il crudo Seguran chiamando i suoi
Quanto può maggiormente intorno suona:
Graditi miei guerrieri e sacri eroi,
Non perdiamo il favor che ’l ciel ne dona.
Or non sentite, or non vedete voi
Come all’aspra fortuna s’abbandona
Ogni duce miglior ch’hanno i nemici
Contr’a l’arme d’Avarco vincitrici?
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     Or non lassiamo indarno trapassare
La bella occasion che ’l crin ne mostra,
Che non sentiam con danno poi biasmare
Il voler lento e la pigrezza nostra.
Leve ed agevol fia d’oltra varcare,
Se vorrete spiegar la virtù vostra,
Quei fossi angusti e mal difese valli
A i nostri velocissimi cavalli.
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     Or è il tempo a mostrar che desiate
Sopra ogni regno umano eterna gloria,
Chè la patria v’è cara, e d’essa amate
Libertà, sicurtà, pace e memoria,
E cinto tutto di gran palme aurate
Il fabbricarvi un tempio alla Vittoria
Ove si leggan poi mille e mill’anni
I larghi nostri onori e gli altrui danni.
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     Ma duro è l’indugiar, che ’l tempo vola
Ch’a lor toglie il timore, a noi la speme:
Ch’un volger d’occhio, una parola sola
Spesso quello assicura, e questa preme.
La fortuna si cangia, e ’l cielo invola
Sovente il frutto onde fu amico al seme,
Che l’una e l’altro contr’a quei si sdegna
Nel cui gelato cor tardanza regna.
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     Poi volto al suo destrier, diceva: Etone
Sopra cui tante spoglie riportai,
Or di mostrar fierezza hai ben cagione,
Se per altra stagion l’avesti mai.
Non aspettar puntura di mio sprone,
E solo il confortar ti muova assai;
E non ti sopravegna aspro letargo
Come venne l’altr’ier, lasso, a Podargo: