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lxxxi
     E va in ver Seguran, che già svegliato
Dal colpo ch’al dormir l’ha persuaso
Contr’essi sprona di furore armato
E di vergogna pien del duro caso:
Tal ch’o di sè adempiea l’ultimo fato
O di lor vincitor saria rimaso;
Se dal popol suo proprio ivi condotto
Non fosse il pensier suo stato interrotto,
lxxxii
     Chè sì ratta venia la schiera iberna
Dietro al duce maggior vittorioso
Che non par che dagli altri i suoi discerna,
Fermando l’occhio sol nel loco odioso;
In guisa d’Aquilon quando più verna,
Poi che ’l mondo imbrunì l’Austro piovoso,
Che lui scacciando e l’atre nubi intorno
Rende in aspro soffiar la luce al giorno.
lxxxiii
     E così quella urtando lui trasporta
E co i nemici insieme innanzi spinge
Ov’altamente della gente morta
Il terreno arenoso si dipinge;
E nessun più ritien, nessun conforta
I Franchi afflitti, anzi ciascun s’accinge
Spaventato dal cielo al ratto corso
Nell’aperto fuggir largando il morso.
lxxxiv
     Ma il famoso Boorte, che lontano
Fu da i molti avversari ritenuto
Dell’orme seguitar di Segurano
E di dar al buon re più largo aiuto,
Opra al fin sì con la possente mano
Ch’al loco onde partisse rivenuto
Il trova ancor che nella stretta calca
Il pensier dall’oprar molto diffalca;
lxxxv
     E quantunque Baveno e Lionello
E molti altri guerrier gli sieno a lato,
No ’l posson ben dal popolo rubello
Condur fra loro in più sicuro stato:
Ma gli va interrompendo or questo or quello
Ch’or scampa or cade, come apporta il fato;
E serrata gli han sì ciascuna via
Che di scorta maggior mestiero avia.
lxxxvi
     Così convien che la seconda volta
Gli sia salute il cavalier di Gave:
Il quale aprendo omai la gente folta
Col brando micidial che gli era chiave
Diceva altero, ove l’iberno ascolta:
Non potrà sovra noi rovina grave
Cader, famoso re più d’altro degno,
Mentre che questa man vi sia sostegno.
lxxxvii
     Ah - disse Seguran, - non sarà forse
Sì ver come pensate il vostro dire,
E tosto si vedrà se ’l ciel vi porse
Assai più del poter largo l’ardire.
Così parlando e minacciando corse
Ove il chiaro guerrier vedea venire;
Ma condusse in fra lor suo fato reo
Il figliuol di Tersite Eniopeo:
lxxxviii
     Il qual colse alla cima della testa,
E ’n fin vicino al collo la divise.
Così tra i due guerrieri in terra resta
Chi sovra il suo potere oltra si mise,
Di sangue e di cervel la sopravesta
Tutta e l’elmo dipinto in triste guise;
E con l’arme sonando su ’l sentiero
Lassò vòto di sè l’alto corsiero.
lxxxix
     Allor verso l’Iberno si ristringe,
Ove il suo caro amico era caduto,
Il fer Boorte, e con tal forza spinge
Che potea vendicare il danno avuto:
Ma mentre ch’all’oprar presto s’accinge
Dal fuggitivo stuol vede abbattuto
Il bel disegno suo dell’aspra guerra,
Che ’l toglie a Segurano e ’ntorno il serra;
xc
     Perchìogni cavaliero, ogni altro a piede
Che davanti di lui fosse o dal lato
Cinto d’alto timore indietro riede
Senz’ordine servare spaventato:
Non men che l’uomo a cui non lunge fiede
Folgore ardente, che in dubbioso stato
Si trova il cor se resti morto o vivo,
Di senso e di ragion turbato e privo.
xci
     E con l’Orcado insieme indi il trasporta,
Non ascoltando sua nè d’altro duce
Minaccia acerba o detto che ’l conforta
All’accesa servar d’onor la luce;
Ma senza orecchia o lingua ha sola scorta
Il timor disusato che ’l conduce,
E come aspro torrente arbori e legni,
Tragge a forza con lui questi più degni.
xcii
     Qual mansueto bue ch’al caldo giorno
Con l’aratro il terren quieto fende
Che sentendosi a gli occhi andare intorno
Il violento asilo che l’offende,
L’usata obbedienza prende a scorno
E ’l bifolco obliando il corso stende
E con ratto furor doppo le spalle
Il gran monte si lascia, e l’ampia valle;
xciii
     Tal faceano i Britanni, i Galli e i Franchi
Di celeste tremor percossi il seno,
Le labbia e i volti scoloriti e bianchi,
De i maggiori sprezzando il giusto freno.
Or poi che fur di richiamarli stanchi
E che ’l ratto fuggir non venìa meno,
Ragionava a Boorte il buon re Lago:
Io del voler di Dio, figlio, m’appago;
xciv
     E ben folle saria chi contrastare
Con suo danno e disnor volesse a lui.
Oggi vuole a i nemici il pregio dare
Che darà forse qualche giorno a nui:
Cediamo al tempo che ne può sforzare,
E per or seguitiam gli errori altrui,
E sol riguardo aviam che questo male
Mal curato per noi non sia mortale.