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lxxxi
     Nella forma medesma poi seguìa
Tra mille cavalieri il re Clodasso
Che ’l bel fregio real deposto avìa
E ripreso color doglioso e basso;
Nè lunge ivi da lui dietro venìa,
Pallida il volto e di dolcezza casso
Pur con vesti neglette e ’nculto crine,
La coppia illustre delle pie regine.
lxxxii
     L’altro popol più vil mischiato insieme
Senz’ordine servar correva appresso,
E ’l gran danno de’ suoi sospira e geme
Con ramuscello in man d’aspro cipresso.
Chi ’l frutto acerbo piange del suo seme,
Chi ’l suo caro german, chi ’l padre istesso,
Rimanendo privato in teneri anni
Di chi lasso il nutria tra mille affanni.
lxxxiii
     Le femminelle al fin d’oscura sorte
Tra gli estremi seguian con più pietade,
Biasmando spesso il ciel, non pur la morte,
E ’l crudo oprar di peregrine spade.
Chi del figlio si duol, che troppo forte
Il cor portava in non matura etade,
Chi lo sposo piangea, ch’a gran perigli
Non si doveva oppor pensando a’ figli.
lxxxiv
     L’acerbe verginelle che rimase
Son senza madre e del parente prive
Piangon ch’al sostener l’afflitte case
Nulla verde speranza in esse vive;
Quella accusa il vicin che persuase
Al fratel che godea l’ombre native
Di cercar giovinetto in guerra fama,
E crudo e disleal piangendo il chiama.
lxxxv
     Tosto ch’è giunta al destinato luogo
La gran pompa reale e gli altri poi,
Si distesero in cerchio all’alto rogo,
Osservando i gran re gli ordini suoi
E quei ch’antichi di milizia al giogo
Fur per somma virtù co i primi eroi
Agguagliati in onor; poi l’umil plebe
Più lunge assiede in fra l’erbose glebe.
lxxxvi
     Le due donne reali in altra parte
Dalle matrone nobili ricinte
De i cavalier sedevano in disparte,
Di cortina sottil da quei distinte.
Le minor di fortuna in basso sparte
Sedean vicine di dolore avvinte.
Come fu il tutto queto, in alta sede
Salìo ’l gran sacerdote Clitomede,
lxxxvii
     E con grave mirar, l’occhio rivolto
Ove il rogo surgea, fiso riguarda;
Indi a gli ascoltator tornato il volto
Ruppe il silenzio al fin con voce tarda:
Se quel ch’ha il sommo bene in seno accolto
E con l’ordine suo spinge e ritarda
D’ogni cosa il cammin da lui segnato,
Il cui certo voler s’appella Fato,
lxxxviii
     Avesse a noi concessa questa vita,
Come a gli angeli suoi, d’eterno corso
E talor consentisse che rapita
Fosse di morte a alcun dal crudo morso,
Quel che men di tutti altri stabilita
La grazia avesse del divin soccorso,
Ben che ciò ch’al ciel piace sia ragione,
Pur di alquanto dolerse avria cagione.
lxxxix
     Ma s’ei qui ne ripon con egual sorte
Che doppo un breve andar si torni a lui,
Quanto è infelice error pianger la morte
Di sè medesmo misero o d’altrui
E l’ore misurar, se lunghe o corte
Sian di se stesso o de i nemici sui,
Se quai di paglie ardenti le faville
Come si fugge un dì ne fuggon mille?
xc
     Perchè adunque deviam con larghi pianti
Di costor richiamar gli andati passi
Ch’or fra i giusti Minossi e i Radamanti
Tosto tutti saran del mondo lassi:
A cui lieti narrando i pregi e i vanti
De’ nemici ch’han qui di vita cassi
E ch’al fin per la patria furo uccisi,
Gli faran cittadin de’ Campi Elisi?
xci
     Non ne debbe doler d’alcuno il fine,
Ma il modo e ’l suo sentiero onde si parte,
Rendendo grazie alle virtù divine
Che gli han locati in sì onorata parte;
E pregar poi che noi medesmi inchine
A lor con loda egual l’invitto Marte,
E nel nostro passar, com’io confido,
Lieto e ’n pace rimanga il natio nido:
xcii
     Il qual, come ch’a noi nel tempo avvegna,
Ch’io non so ben ridir qual io vorrei,
Veggio ch’a farlo ampissimo disegna
Il concilio immortal de’ nostri dei,
E che patria sarà lodata e degna
Di molti antichi e nobil semidei
Che di rami verran dell’arbor franco,
Poi che quel che veggiam sia secco e manco;
xciii
     Il qual certo illustrissimo poi fia,
In fin che gli ombrerà la tolta sede
Nuovo troncon che per l’istessa via
Sarà degli aurei fior famoso erede:
Alla cui gran semenza e larga e pia
Fia ciascuna virtù che in alto siede,
Di cui molti bei germini radici
In questa terra avranno alme e felici.
xciv
     Ma via più di tutte altre, poi che ’l sole
Dieci secol rivolti e dieci lustri,
Di Francesco primier l’eletta prole
Vedrà qui superar gli antichi illustri
Più di virtù, che di color non suole
All’apparir del sol rosa i ligustri:
Il cui nome real fia detto Enrico,
D’ogni raro valor perfetto amico,