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5. Il sogno di una biblioteca aperta     71

nanti del mondo. Eppure, durante il tour dell’università, non ci hanno evidenziato tutti questi aspetti. Ci hanno parlato, un po’, di John Harvard, e del 1700; poi hanno trascorso la maggior parte del tempo a dirci quanto fosse bella la “settimana dello shopping”, in cui si potevano provare diversi corsi per un paio di lezioni.


Anche a Chicago Aaron non trova un ambiente che lo entusiasmi particolarmente.


Il mese successivo ho visitato l’Università di Chicago – continua – Chicago ha la reputazione, in tutto il mondo, di essere una scuola con delle idee molto autorevoli: sembra che in ogni campo di ricerca esista una “Scuola di Chicago”. Ma, dal tour che ci hanno organizzato, non si direbbe: l’unica volta in cui si è parlato di studio vero e proprio è stata quando un ragazzo ha riferito di aver sentito dire che l’Università ha una reputazione da “studenti sempre col naso a terra”. «Beh», ha risposto la guida, «puoi lavorare sodo, se vuoi». E poi è tornato a parlare del programma sportivo del campus.


In realtà, del mondo universitario ad Aaron interessano, e sono sempre interessate, le persone:


La vera ragione per cui voglio andare in un’università – e quella che, a ben vedere, sembra interessare anche tutti gli altri – è la gente. Voglio recarmi in un luogo pieno di persone come me, ma più intelligenti. Un posto dove non si può fare a meno d’imparare. La frase chiave è, quindi, “persone come me”. Voglio conoscere com’è la “cultura” di quel determinato campus. Se si volesse generalizzare ingiustamente, si potrebbe dire che le persone ad Harvard sono snob, quelle a Stanford sono pigre e quelle al MIT sono nerd. La realtà è che, con la possibile eccezione del MIT, che vende specificamente dell’abbigliamento “nerd pride”, nessuno di questi luoghi informa su questo aspetto. Dopo tutto, il pubblicizzare troppo la propria individualità allontana una parte del gruppo d’interesse. Anzi, è proprio questo il punto!


Se il mondo del college, e dell’accademia in generale, gli sollevavano tutti questi dubbi e ripensamenti, Aaron ha le idee più chiare nei confronti dei libri e delle biblioteche, suoi grandi amori sin dai tre anni di età.

Questa passione lo porta ad avviare un progetto che chiama “Open Library” e la cui idea originaria risale al 2007, quando aveva ventun anni: perché non trasformare l’attuale Internet in un’enorme biblioteca che contenga informazioni su ogni libro?

Una biblioteca da navigare, da correggere in tempo reale, da alimentare costantemente grazie allo sforzo di tutti.

È un tipico progetto alla Aaron: vi è l’idea di “pubblico”, di “liberare il sapere” dalle biblioteche come erano strutturate allora ma, anche, l’interesse comune per il raggiungimento di un risultato simile. La rete sarebbe stato lo strumento principe per garantire la libertà, in questo caso, di tutti i libri.