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164      Aggiustare il mondo


Quinn e Aaron erano anche preoccupati per le sorti di Ada, la figlia di sette anni di Quinn. Non volevano che quello che stava succedendo la toccasse in qualche modo.

Un’ulteriore preoccupazione, per Quinn, riguardava i contenuti del suo computer portatile: conteneva interviste, corrispondenza e comunicazioni con fonti riservate per vicende risalenti fino a cinque anni prima, e vi era un riferimento esplicito, nel mandato di comparizione, per l’acquisizione di contenuti proprio da quello specifico computer.

Quinn non voleva in alcun modo consegnare la sua password al procuratore, lo aveva ribadito chiaro ai suoi avvocati. Piuttosto, sarebbe andata in prigione. Per di più, aveva l’abitudine di registrare qualsiasi conversazione, una prassi che fece infuriare Aaron.

In primavera, in un momento di confidenza, Aaron rivela a Quinn che Heymann, il pubblico ministero, gli aveva offerto un accordo: tre mesi di prigione, tre mesi in una sorta di centro di recupero e tre mesi di libertà vigilata, e la contestazione di un solo reato.

Mi disse che avrebbe accettato se avessi voluto – ricorda Quinn – Ne parlammo, di cosa avrebbe significato per lui avere sulla fedina penale un reato grave, per la sua vita e i suoi sogni in politica. Pensai a mio padre, mandato a State Penn quando avevo 17 anni, e a come la cosa lo avesse distrutto. Non aveva resistito a lungo dopo la prigione. Essere un criminale, in questo Paese, significa essere un paria, non essere ascoltato. Aaron desiderava più di ogni altra cosa parlare con il potere, fare riforme proprio nel sistema che lo stava attaccando ora. Nella maggior parte degli Stati, un criminale non può nemmeno votare. Il pensiero che non potesse votare era inammissibile. Ma la verità è che volevo che accettasse il patteggiamento e che la cosa finisse. Volevo non avere più paura, non avere più a che fare con queste persone. Nove mesi non sembravano così lunghi e sono stata molto vicina a chiedergli di farlo. Ma lo guardai e pensai al PCCC (il primo dei suoi gruppi di azione politica), a Demand Progress, a Washington DC e a tutto il lavoro che aveva fatto. «Se vuoi combattere, devi farlo», gli ho detto. Gli ho detto che lo avrei sostenuto.

Questo momento di riflessione con Aaron, se accettare o no l’offerta, provò ancora di più Quinn, soprattutto perché scelse di non spingere troppo sul punto, di non provare a convincerlo, e pensò di non aver valutato correttamente i rischi di entrare in un ambiente e in un meccanismo, quello della giustizia, che comunque non conoscevano.

Aaron riferì a Quinn, poco dopo, che il procuratore era andato su tutte le furie quando aveva saputo del rifiuto dell’offerta di patteggiamento.

Gli avvocati di Quinn le consigliarono, al contrario, di collaborare. Di mantenere un approccio amichevole. Del resto, le informazioni in suo possesso sulle attività e le motivazioni di Aaron erano praticamente nulle: Aaron non aveva