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uno scrittore del Giornale Arcadico, dell’anno 1827, ci dice essere stato mandato alla luce dalla marchesa Diodata Saluzzo Roero; ma, a giudicarne dai pochi luoghi riferiti, si tratta di una poesia di ben poco valore artistico e di niuno storico.

Basti dire che l’autrice, per la quale il recensionista ha una cornucopia di lodi entusiastiche, riteneva che Ipazia fosse stata una martire cristiana1, mentre, come si vedrà, fu appunto vittima pagana dei fanatici monaci della Tebaide, che distrussero il suo bel corpo come avevano abbattuto i monumenti di pietra delle antiche religioni: il tempio meraviglioso detto Serapeo, e le ruine imponenti di Tebe e di Memfi!

Cito qualche verso:

     Languida rosa sul reciso stelo
Nel sangue immersa la vergin giacea
Avvolta a mezzo nel suo bianco velo.

     Soavissimamente sorridea
Condonatrice dell’altrui delitto:
Mentre il gran segno redentor stringea2.

In italiano ancora, abbiamo uno studio del Bigoni3, un dotto articolo del Faggi4, ed un saggio molto elegante, di Carlo Pascal5.

Il miglior lavoro italiano, per l’estensione e per la conoscenza delle fonti, è quello del Bigoni.

Questi scritti, insieme ad un articolo francese pubblicato nella Revue contemporaine6, e ad una piccola biografia tedesca della rivista Preussische Jahrbücher7, formano tutto quanto nel secolo XIX e nei primi



  1. v. p. 28. — Il Kingsley parla di una conversione tutta spirituale d’Ipazia al nestorianismo: ma evidentemente si tratta di una elegante finzione letteraria. Si parlò invero di una lettera latina scritta da lei, al vescovo Cirillo in favore di Nestorio, e nella quale ella si dichiara pronta a convertirsi formalmente al Cristianesimo dicendo «intra memetipsma agitans quod bonum mihi sit fieri Christianam». Si può leggere questo documento nella «Nouvelle Collection des Conciles d’Etienne» del Baluze (tomo I, p. 926). Ma il Faggi, secondo pure l’opinione di altri biografi, nota che nessuno ha però creduto, eccetto il suo primo editore, Cristiano Lupo, all’autenticità di questa lettera, che dovrebbe essere stata scritta in latino da una greca ad un vescovo greco, e che accenna per di più alla condanna di Netorio la quale ebbe luogo, nel concilio di Efeso del 431: mentre Ipazia morì nel 415! — Così pure afferma l’Aubé (v. Op. cit.).
  2. Dal poema - «Ipazia ossia delle filosofie» della marchesa Diodata Saluzzo. In venti canti.
  3. In Atti dell’Istituto Veneto, serie 6.a vol. V, 1886-1887.
  4. Ippazia d’Alessandria. In Rivista d’Italia, 1907.
  5. V. Figure e caratteri, Sandron, 1908.
  6. V. vol. 104, anno 1869.
  7. Berlin, 1907.