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scritti: e Parmenide si trovava a esser fuori. E c’era assai poco altro anco a leggere, ed ecco, mi disse Pitodoro, sopraggiunse esso da fuori, e Parmenide con lui, e Aristotile, il qual fu da poi uno dei trenta: e udirono quel poco; nientedimeno egli aveva udito Zenone innanzi.
Socrate, dappoi ch’ebbe udito, il pregò di legger novamente la prima supposizione del primo, libro; letta, domandogli: Che vuoi dir tu, o Zenone, con questo: che se gli enti son molti, essi è necessario essere simili e dissimili? vuoi tu dire che ciò è impossibile; conciossiachè nè i simili possano mai essere dissimili, nè i dissimili simili? Perappunto, rispose Zenone. E per tanto tu seguiti: che s’egli è impossibile i dissimili essere simili, e i simili dissimili: egli è anche impossibile gli enti esser molti? stantechè, se fossero molti, sosterebbero le cose impossibili. Or cotesto è l’intendimento de’ tuoi discorsi, cioè mostrare, contro all’opinione commune, che non c’è il molti? e stimi tu d’aver provato ciò in ciascuno discorso; inguisachè fai conto di averne dato tante di pruove, quanti sono i discorsi i quali hai tu scritti? di’ tu così, ovvero io non intendo bene? No, anzi, gli disse Zenone, eccellentemente hai capito tutto lo scritto che voglia. E Socrate: Veggo, o Parmenide, che Zenone qui, non vuol solamente intrinsicarsi teco con l’amicizia, ma eziandio con gli scritti; conciossiachè in certa guisa abbia scritto quello che tu, e mutando forma, s’ingegni di gabbarci, come s’e’ dicesse altro. E, davvero, tu affermi ne’ poemi che tutto è uno, e ne