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i quali ebbero una fiata insieme Socrate e Zenone e Parmenide, avendoli assai volte uditi dal detto Pitodoro. Egli è vero, mi disse. Questi ragionamenti, dunque, ripiglia’ io, vogliamo noi udire. E, disse, non è malagevole, chè, quand’era giovanottino, ci pensava su molto; che ora come l’avolo, il quale si chiama anche come lui, bada spezialmente alla cavallerizza. Ma, s’è mestieri, andiamo a lui; che ora appunto se n’è andato di qua, a casa: abita in Melita, qui dappresso. Detto ciò, ne andammo, e trovammo Antifonte a casa, a dare una certa briglia al fabbro ad acconciare. Spacciatosene, i fratelli gli raccontarono il perchè noi fossimo lì: ed egli mi riconobbe di quando lì fui, e femmi cortesie. E pregandolo noi di referirci quei ragionamenti, da prima faceva scusa; chè diceva d’esser cosa difficile: da ultimo ce li ha referiti.
E Antifonte cominciò a dire, che Pitodoro raccontogli, Zenone e Parmenide esser venuti una fiata ai grandi Panatenei; Parmenide era molto vecchio, peli tutto bianchi, nientedimeno d’uno aspetto buono e bello, d’età certo circa a sessantacinque anni; Zenone era dipoi allora dappresso a quarant’anni, di statura alta, e leggiadro a vedere: ed era voce ch’e’ fusse stato il diletto di Parmenide. Ei s’intrattennero a casa di Pitodoro, fuor da le mura, in Ceramico: e dipoi venne vi anco Socrate e altri molti con lui, vogliosi di udir gli scritti di Zenone; poiché allora esso e Parmenide gli avevan recati da prima. Socrate era allor giovinissimo. Zenone medesimo, dunque, si fu messo a legger gli