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vuoi coi fatti nelle battaglie, vuoi coi discorsi nei negoziamenti. In questo, mio caro Crizia ed Ermocrate, dispero io d’essere giammai capace a lodare debitamente repubblica e uomini siffatti. E di me non è meraviglia: io porto la medesima opinione sui poeti passali e i contemporanei, non perchè abbia la generazione dei poeti in dispetto; ma perchè luce agli occhi d’ognuno che la turba degl’imitatori imita molto agevolmente e benissimo le cose fra le quali fa allevata, laddove quello ch’è straneo all’educazione propria torna difficile ad imitare bene con le opere, e vie più con la parola. Quanto alla generazione dei sofisti, io gli stimo valenti in molti discorsi di diversa specie, ed in altre cose belle; ma ho paura ch’essi, come quegli che vanno continuamente attorno per le città, e non hanno proprie stanze in nessun luogo, non possano immaginare per congettura quanto farebbero nella guerra e nelle battaglie uomini filosofi e politici sia con le opere, sia con la parola, conversando. Restate dunque voi altri, che siete esperti di politica e filosofia, per natura e per educazione. Ecco qua Timeo, di Locri, repubblica di Italia ordinata a leggi eccellentissime, dov’egli non istà dopo a chicchesia per sostanze e per gentilezza di sangue, Timeo ha avuti i più notabili magistrati e onori del comune; ed è, da altra parte, salito a mio parere al sommo di tutta la filosofia. Quanto a Crizia, tutti di qua sappiamo bene, com’egli non è nuovo della materia che ora si tratta; e quanto a Ermocrate bisogna credere altresì che l’ingegno e l’istituzione sua sono accomodati a tutte coteste disputa-